Inaugura il 7 settembre alle ore 17.00 con ingresso libero la personale del fotografo pordenonese Sergio Mauro dal titolo Geometrie Urbane. Una quarantina le foto in esposizione fino al 29 ottobre al centro culturale casa A. Zanussi Pordenone, in via Concordia 7).
Mauro fotografa in digitale intervenendo sullo scatto con una post-produzione, soprattutto per scontornare forme e saturare colori, alterando il contrasto per spingere in saturazione e vivezza.
Spiega Codogno nel testo critico a compendio della mostra: "un escamotage tecnico per allontanare l'immagine da ciò che rappresenta. Toglierla dal significato in cui è normalmente compresa".
Gli scatti del fotografo hanno come unico soggetto le architetture: case, palazzi, negozi di cui l'autore evidenzia ed esaspera i dettagli geometrici.
Mauro bandisce ogni presenza e quasi ogni traccia antropica, evidenziando piuttosto lo slancio metafisico dell'architettura. La sua ricerca esplora la verticalità, i colori, il luogo non definito, i giochi di ombra e di luce. L'autore spesso scatta dal basso verso l'alto per esasperare volumi. Usa spesso lo sguincio, termine che deriva dall'architettura, ovvero quella sagomatura svasata verso l'esterno o l'interno di porte e finestre, che permette alla luce di allargare la sua portata per entrare e uscire dalla fotografia. Negli scatti si evidenziano per lo più colori puri, netti: rosso, blu, bianco, giallo. Senza sbavature e senza sfumati.
Scrive ancora Codogno: "Dove sono questi palazzi? Chi si affaccia da queste finestre? Non lo sapremo mai, ed è giusto così. Mauro non compie una ricerca antropologica sull'architettura, anzi, esclude a priori ogni contestualizzazione per presentarci nude forme tradotte in spirito".
Testo critico di Barbara Codogno
Provando a tracciare un'appartenenza o una continuità tra la storia dell'arte e le opere contemporanee esposte in questa raccolta che titola "Geometrie urbane", già a prima vista è facile collocare la ricerca stilistica di Sergio Mauro, in prossimità di due grandi correnti: il neoplasticismo e la fotografia d'architettura.
Il Neoplasticismo, che vedrà in Mondrian il suo più geniale cantore, parte dall'esasperazione delle posizioni cubiste. Punta dritto all'essenza delle cose, le riduce a una razionalità formale che matura in colori primari (rosso, giallo e blu) e nel non colore (nero, grigio, bianco).... leggi il resto dell'articolo»
Il Neoplasticismo coinvolge diversi ambiti creativi, non da ultimo quello dell'architettura. Principio ferreo della progettazione diviene l'ortogonalità. Forme per lo più squadrate, rettangolari e un nuovo dialogo tra vuoto e pieno. L'architettura si fa imponente, bandisce ogni decorazione e sembra quasi uscire da sé stessa per dominare la natura.
Questa corrente contamina anche il design. Icona del suo genere è la sedia rossa e blu di Gerrit Rietveld che sembra un'opera di Mondrian divenuta tridimensionale e trasposta in un oggetto di uso comune.
Mondrian, olandese, era un insegnante d'arte. All'inizio dipinge sulla scorta degli impressionisti, poi matura uno stile personalissimo proprio a partire dai suoi primi esperimenti cubisti. Gli oggetti si scarnificano, diventano dapprima essenziali poi astratti, condensati come li troviamo nelle sue celebri "Composizioni", dove una griglia di ortogonali nere, con all'interno quadrati o rettangoli di diversa grandezza, è ritmata da giallo, rosso e blu, alternati al bianco dello sfondo.
Venendo all'esposizione, nelle suggestive sequenze proposte da Mauro, l'architettura è palese elemento dominante. Il titolo ci indirizza verso i tratti geometrici ma ci depista proponendoci un quadro urbano che invece, se non per evocazione, difficilmente riusciamo a contestualizzare in questi scatti.
Nessuna traccia antropica, infatti, se non per una casuale caleidoscopica, quando intravediamo un uomo specchiato in un riflesso fugace, deformato, quasi fosse una fatamorgana.
In Mauro l'estetica àncora la fotografia di architettura, soprattutto nella scelta delle inquadrature che in alcuni casi ricordano, anche per il binomio cromatico bianco-azzurro, le foto contemporanee di Iwan Baan.
Puntando poi diritto verso lo stile cinematografico di Berenice Abbott e quello monocromatico di Kerstin Arnemann, almeno per la sezione titolata "Metropolis".
Mauro preme il piede e sull'acceleratore e mette insieme le linee teoriche ed estetiche del neoplasticismo per applicarle alla fotografia d'architettura, formulando un linguaggio personale che ci propone forme totemiche con linee decise e colori vibranti.
Sarebbe sbagliato però pensare alla fotografia di Mauro come a una fotografia neofuturista, che negli ultimi decenni tanto ha spopolato in Italia. Perché la verticalità delle sue composizioni (nelle quali cesella porzioni dense e asciutte di materia quasi sempre accesa da cromatismi secchi, puri -alla Mondrian, appunto- evidenziati e scontornati dal nero e dal bianco per delimitare e allargare la volumetria) va a braccetto con curve sinuose e morbide e colori più indefiniti, come nella sezione "Le ali dell'angelo".
In ogni caso, Mauro opera una spinta di pulizia radicale. Il suo è uno slancio metafisico: lo sguardo sempre rivolto all'alto, alla ricerca di un assoluto.
Entriamo nel dettaglio dell'esposizione.
Sono tutte fotografie scattate in digitale sulle quali l'autore interviene con una post-produzione, soprattutto per scontornare forme e caricare colori, alterando il contrasto per spingere in saturazione e vivezza. Un escamotage tecnico per allontanare l'immagine da ciò che rappresenta. Toglierla dal significato in cui è normalmente compresa.
La mostra si apre con il dittico "Metropolis", titolo che volutamente si ispira al film del 1927 di Fritz Lang e che ci riporta anche alle suggestioni cinematografiche degli scatti di Berenice Abbott, a quell'architettura razionalista che Mauro esaspera nel bianco e nero lividi, quasi fosforescenti. E che rende vertiginosi virando la struttura verticale verso il viola: nella fisica della luce la frequenza più alta che il nostro occhio possa percepire.
In entrambe le foto, come fa spesso, Mauro scatta dal basso verso l'alto per esasperare volumi e amplificare la tensione che dall'immanenza della materia si fa congettura trascendente.
Usa spesso lo sguincio, termine che deriva dall'architettura, ovvero quella sagomatura svasata verso l'esterno o l'interno di porte e finestre, che permette alla luce di allargare la sua portata per entrare e uscire dal vano. L'ambientazione qui è quasi monolitica, cupa e claustrofobica.
Le foto del dittico "Le ali dell'angelo" ci fanno uscire dalla notte. Propongono volumi morbidi. Abbiamo una porzione di un edificio con piastrellatura chiara che si staglia su un cielo azzurro, a tratti incolore, di un freddo quasi tiepido. I giochi di luce tra il cielo e la pietra permettono di immaginarci un'ala stilizzata: sembra quella di un angelo venuto a posarsi su una città dove dell'uomo -o forse meglio sarebbe dire dell'umano- pare non vi sia rimasta traccia.
Si passa poi a un trittico nel quale l'azzurro si accende in blu e il bianco si satura. Le forme anche qui sono essenziali, un cerchio, un rettangolo, fino a proporre una serie di quadrati che ricordano le composizioni di Mondrian, tanto più che si affaccia, dall'ultimo angolo in basso, una minuscola campitura rossa in grado di spostare però il baricentro di tutta la fotografia.
La sezione "Mondrian" vede sfilare una teoria di foto nelle quali è il colore a dominare la scena. Colori puri, netti: rosso, blu, bianco, giallo. Senza sbavature e senza sfumati. Qui lo scatto passa dalla sua angolazione verso l'alto alla dilatazione verso il dettaglio che il fotografo aggancia di petto. L'occhio si concentra in quello che vede davanti a sé.
In "Bianco e nero" il dettaglio la fa adesso da padrone e introduce. grazie alle tessere di un pavimento, anche il tema successivo. Va detto che se in alcune foto è riconoscibile la struttura architettonica della costruzione, di cui Mauro raramente dà compiutezza, molte fotografie, nella quali l'autore isola il solo dettaglio, ci fanno sostare nell'indeterminato. Non riusciamo ad ancorarle a una costruzione precisa. Va detto anche che le architetture ritratte da Mauro non ci danno mai coordinate spazio-temporali dove ci sia possibile collocarle.
Dove sono questi palazzi? Chi si affaccia da queste finestre? Non lo sapremo mai, ed è giusto così. Mauro non compie una ricerca antropologica sull'architettura, anzi, esclude a priori ogni contestualizzazione per presentarci nude forme tradotte in spirito.
La sezione "Gutenberg" propone degli scatti che si focalizzano su una matrice creativa. Sulla ripetitività della creazione. Qui possiamo seguire delle suggestioni sulle tracce dell'abitare. Le foto che propone sono texture seriali, organizzate in sequenze cadenzate. La finestra è come una lettera che, stampata su muro invece che su carta, compone una trama lessicale. Una partitura monotona nel solco della riproducibilità. Ecco, in queste foto riusciamo a sentire la vita, ma siamo a Metropolis: nel razionalismo asettico.
Nelle ultime foto Mauro torna a riflettere sui temi della sua ricerca: la verticalità, i colori, il luogo non definito, i giochi di ombra e di luce, la presenza metafisica delle costruzioni che si ergono monolitiche nel vuoto.
Infine "Lo scherzo dell'occhio". Un dittico che ci mostra riflessi effimeri. Impossibile dire se si tratti di vetro o di plastica; che sia un soffitto piuttosto che una vetrata o un ballatoio. Forse un grande magazzino, un supermercato, un museo. Tutto si confonde. È qui che compare il simulacro di un uomo. Lo scherzo dell'occhio è proprio questo: siamo sicuri che ci siano ancora uomini, qui?
Mostra: Sergio Mauro. Geometrie Urbane
Pordenone - Centro Culturale Casa A. Zanussi
Apertura: 07/09/2023
Conclusione: 29/10/2023
Curatore: Barbara Codogno
Indirizzo: Via Concordia, 7 - 33170 Pordenone
Inaugurazione: 7 settembre ore 17.00 – ingresso libero
Per info: tel. 0434 365387
Sito web per approfondire: https://centroculturapordenone.it/centro
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