
La nuova sede espositiva di Pow Gallery, nella chiesa sconsacrata di San Carlo a Piová Massaia (AT), ospita la mostra "SNEZHOK - CHEЖOK" dell'artista russa Olga Buneeva a cura di Andrea Sanvittore.
La mostra sarà visitabile fino al 4 maggio prenotando la visita al numero 335.5350025 (anche WhatsApp) Maria, Tamara e Olga.
Nonna, mamma e nipote. 3 generazioni in luoghi e tempi diversi della Russia Sovietica segnate dagli esperimenti militari sulle bombe atomiche prima e dalle radiazioni della centrale nucleare poi. 14 settembre 1954 villaggio di Totskoye. L'esercito sovietico sgancia una bomba nucleare 2 volte più potente di quella di Hiroshima nella regione di Orenburg, vicino al Kazakistan. 45.000 tra soldati e prigionieri furono esposti volontariamente alle radiazioni per verificare la resistenza delle strumentazioni, dell'equipaggiamento e degli uomini.
L'esperimento fu simile ad altri eseguiti da Stati Uniti e Regno Unito e altre potenze nucleari e fu pensato per mettere alla prova l'efficacia di soldati e strutture militari in caso di guerra nucleare. A coloro che furono esposti alle radiazioni , compresi gli abitanti del villaggio, venne negato ogni tipo di cura, tenendo così il test avvolto nel segreto per quattro decenni. Migliaia di persone morirono nell'immediato e negli anni a seguire. 26 aprile 1986 Černobyl'. Il reattore della centrale di esplode. È il più grave disastro nucleare della storia dell'energia atomica. Le radiazioni si diffondono, mutano corpi e paesaggi, segnano intere generazioni. Olga era una bambina e ignari di tutto i bambini giocavano per strada nelle settimane successive all'incidente, ma la pioggia acida cadeva e bruciava la pelle. Solamente 2 settimane dopo venne dichiarato lo stato di emergenza.
Tre generazioni nate in una terra violata dalla Storia.... leggi il resto dell'articolo»
Olga Buneeva, "mutante di terza generazione" e laureata all'accademia di Brera, raccoglie questa eredità e ne diventa testimone. Memoria, corpo e anima si intrecciano nel suo lavoro artistico, trasformando il dolore in materia viva. Attraverso le sue ceramiche, le terre cotte, le opere pittoriche e digitali, l'artista non cerca il bello né il riscatto. Non c'è volontà di rimuovere il trauma, di dimenticare. Al contrario, c'è l'urgenza di affrontarlo, comprenderlo, accoglierlo e soprattutto diffonderlo. L'arte si fa memoria collettiva e monito per le generazioni future. Nei lavori di Olga Buneeva, la materia si trasforma, prende nuova forma, una nuova pelle. È il tempo che sedimenta, la memoria che resiste, la ferita che diventa traccia. Perché è proprio nell'equilibrio tra memoria e oblio, tra distruzione e rinascita, che si svela il senso profondo dell'esistenza.
"Olga Buneeva si definisce una "Mutante di Terza Generazione" , un'identità che nasce dalla sua storia personale come nipote e figlia di due donne segnate dalle radiazioni del dopoguerra sovietico ed essa stessa esposta. Ma questa espressione si può estendere anche alla sua arte. Con SNEZHOK giunge infatti oggi alla terza, potente mutazione del suo percorso, dove ha esplorato il senso di appartenenza, la memoria e la disgregazione dell'identità."
Sandrone Dazieri
MUTANTE DI TERZA GENERAZIONE di Olga Buneeva
Così si definisce l'artista Olga Buneeva, nata nell'URSS, che racconta la storia del suo paese attraverso la storia della sua famiglia: «Nella nostra famiglia io appartengo ormai alla terza generazione esposta alle radiazioni. Uno dei ricordi più vividi della mia infanzia è quando mi trovai sotto la pioggia radioattiva. Non so nemmeno quanto tempo fosse passato dall'incidente alla centrale nucleare di Černobyl' , perché la notizia non ci venne comunicata subito.
La tragedia avvenne il 26 aprile 1986, ma ancora il 1° maggio in tutto il paese si svolgevano le manifestazioni per la Festa dei Lavoratori e nessuno sospettava nulla. Solo quando iniziarono a cercare volontari per la bonifica del disastro, ci dissero la verità, seppur minimizzando il pericolo: «Niente di grave, cercate solo di uscire di casa il meno possibile». Quel giorno andai a comprare il pane, e sulla via del ritorno iniziò un temporale primaverile. Ricordo che non c'era alcun riparo e che camminavo sotto la pioggia con un maglione verde brillante completamente inzuppato, con la sensazione di essere immersa nell'acido.
La nostra generazione di bambini sovietici è cresciuta odiando la guerra, la corsa agli armamenti nucleari e vivendo nella costante preparazione a una minaccia atomica. Ricordo le esercitazioni continue per indossare la maschera antigas, per prepararci a sopravvivere a un'esplosione nucleare e alle sue conseguenze. E, sebbene studiassimo nei minimi dettagli i vari tipi di soccorso per le vittime delle radiazioni, speravo che quelle informazioni non mi sarebbero mai servite. Spesso, tornando da scuola, sentivamo l'urlo della sirena: era il segnale di un'allerta simulata, dovevamo correre di nuovo a scuola, dove nel seminterrato era allestito un rifugio antiaereo, in cui avremmo dovuto nasconderci in caso di attacco nucleare. Dopo anni di addestramento, a un certo punto mi resi conto che, anche se fossi sopravvissuta alla prima esplosione, la vita in un mondo contaminato da radiazioni, con aria, acqua e terra avvelenate, non faceva per me. Continuavo a partecipare a tutte le esercitazioni, ma capii chiaramente che, nel caso in cui la minaccia fosse stata reale, avrei preferito bruciare in un istante piuttosto che passare il resto della vita con una maschera antigas.
E così accadde: quando il pericolo fu reale, semplicemente nessuno ci disse la verità. Per almeno una settimana, nessuno, a parte i vertici dello Stato e i primi liquidatori, era consapevole della minaccia. Ma per mia madre e mia nonna non era la prima esposizione alle radiazioni. La prima avvenne nel 1954. All'epoca vivevano nella regione di Orenburg, vicino al Kazakistan. Mia nonna, come gli altri abitanti del villaggio, lavorava nei campi quando, dopo un bagliore intenso in lontananza, sentirono la terra tremare sotto i piedi. Il cielo si tinse di rosso e all'orizzonte iniziò a formarsi un'enorme nube a fungo. Il governo sovietico stava conducendo un test nucleare segreto, con una bomba il doppio più potente di quella sganciata su Hiroshima. Operazione "Snezok"
Il 14 settembre 1954, nel poligono di Totsk, si svolsero le esercitazioni militari su larga scala, note come Operazione "Snezok" ("Il fiocco di neve"). L'obiettivo era studiare le possibilità di sfondare le difese nemiche utilizzando un'arma nucleare. Il poligono di Totsk fu scelto per la sua somiglianza con il paesaggio dell'Europa occidentale, dove il comando militare sovietico riteneva potesse scoppiare una possibile Terza guerra mondiale. Ecco come, anni dopo, uno dei testimoni ha commentato la scelta del sito: "La scelta del luogo non fu un errore, fu un crimine. Su un territorio che copre un sesto della superficie terrestre, era difficile trovare una regione più popolata di quella tra il Volga e gli Urali. Così come era difficile scegliere un suolo più fertile da contaminare o un fiume più bello della Samara, che scorre per 600 km e sfocia nel Volga, la più grande arteria fluviale d'Europa."
Mai prima di allora l'URSS aveva condotto test nucleari in condizioni simili: quindi, l'obiettivo era studiare l'impatto dell'esplosione atomica sulle strutture ingegneristiche, sull'equipaggiamento militare e sugli esseri viventi, nonché comprendere la propagazione dell'onda d'urto, della radiazione luminosa e delle radiazioni penetranti. I preparativi iniziarono nella primavera del 1954. Sul vasto poligono furono scavati chilometri di trincee e fossati anticarro, costruiti centinaia di bunker e rifugi. Sul posto arrivarono 45.000 militari: 39.000 soldati e sottufficiali, 6.000 ufficiali, 600 carri armati e obici semoventi, 600 veicoli blindati, 500 cannoni e mortai, oltre 300 aerei e numerosi mezzi ausiliari. Il comando dell'esercitazione fu affidato al Maresciallo dell'Unione Sovietica Georgij Žukov. Il 14 settembre 1954, alle 9:34, un bombardiere Tu-4 sganciò una bomba atomica RDS-2 di circa 40 kilotoni da un'altitudine di oltre 8.000 metri.
L'esplosione avvenne a 350 metri dal suolo, creando condizioni il più possibile simili a uno scenario di guerra. Le misure di protezione adottate furono del tutto insufficienti, portando a un'ampia esposizione alle radiazioni tra i militari e la popolazione locale. Il vento cambiò direzione durante l'esercitazione, portando la nube radioattiva non sulla steppa disabitata, come era previsto, ma direttamente sulle città di Orenburg e Krasnojarsk. Per decenni, le conseguenze delle esercitazioni furono coperte dal segreto di Stato. I partecipanti non poterono mai parlare della loro esposizione alle radiazioni, neanche ai medici, mentre morivano prematuramente di cancro, infarti e ictus.
Solo negli anni '90 furono resi noti i dati sull'impatto radioattivo, rivelando un aumento dei casi di tumore in otto distretti della regione. Oggi, del villaggio di mia nonna non resta nulla, se non i resti dei comignoli in mattoni, inghiottiti dall'erba alta, testimoniano che un tempo lì vivevano delle persone. Mio nonno morì a 60 anni per un cancro ai polmoni, e anche mio zio, fratello di mia madre, morì della stessa malattia. Mia nonna, pur avendo raggiunto un'età avanzata, ha sofferto per molti anni di dolori acuti all'anca e di forti mal di testa. Sebbene non le sia mai stata ufficialmente diagnosticata, questi sono i principali sintomi della malattia da radiazioni cronica, che si sviluppa a seguito di un'esposizione prolungata alle radiazioni.
Dopo l'irradiazione, il tessuto osseo subisce due processi opposti: 1. Osteosclerosi – un ispessimento delle ossa, che colpisce principalmente il cranio, la colonna vertebrale e le ossa lunghe degli arti. 2. Osteoporosi – un assottigliamento delle ossa, in particolare dell'anca e della colonna vertebrale, che provoca dolori intensi, deformazioni e un elevato rischio di fratture.
Note biografiche
Olga Buneeva è un'artista russa sposata ad un italiano, vive in Italia, a Milano. La sua ricerca affonda le radici nella memoria collettiva e nelle narrazioni familiari, attingendo a un passato stratificato che si rifrange nell'inconscio individuale. Formata inizialmente come filologa, Buneeva trasforma il linguaggio della memoria in un codice visivo, esplorando temi quali oppressione, guerra, devastazione, ecologia e radiazioni. Un elemento cardine della sua pratica è la criptomnesia, il processo in cui i ricordi si alterano e si sovrappongono, cancellando il confine tra esperienza vissuta e narrazione ereditata. Per Buneeva, la memoria non è solo un archivio, ma un organismo mutevole e ingannevole, capace di plasmare la realtà tanto quanto di deformarla. L'artista sfrutta consapevolmente questa dinamica come metodo creativo: raccoglie storie, testimonianze e frammenti di passato, lasciandoli sedimentare fino a farli emergere nella sua produzione attraverso un processo di automatismo, in cui il gesto artistico diventa un'estensione diretta dell'inconscio. Il risultato è un linguaggio plastico e vibrante, che si manifesta in opere dalla forte componente performativa, simili a visioni cristallizzate nel tempo. Buneeva lavora con una varietà di media, dalla pittura alla scultura, dai tessuti all'arte digitale, ma è nella ceramica che il suo linguaggio trova una sintesi particolarmente potente.
Dopo la laurea all'Accademia di Belle Arti di Brera nel 2019, ha affinato una tecnica personale, partendo da forme classiche per giungere a un'estetica radicalmente organica. Utilizzando esclusivamente la tecnica del colombino, Buneeva crea sculture dalle forme irregolari, in bilico tra natura e corpo umano, tra residuo archeologico e creatura mutante. Le superfici imperfette e pulsanti delle sue opere evocano un processo di metamorfosi continua, trasmettendo una tensione vitale che le rende quasi animate. Il lavoro di Olga Buneeva si colloca in una dimensione liminale, dove il tempo si stratifica e la materia diventa memoria. Attraverso la sua pratica, interroga il rapporto tra identità e trauma collettivo, trasformando la memoria in un campo di sperimentazione artistica capace di rivelare, più che di conservare.
Mostra: Olga Buneeva. SNEZHOK - CHEЖOK
Pow Gallery - Chiesa di San Carlo
Apertura: 18/04/2025
Conclusione: 04/05/2025
Organizzazione: Pow Gallery
Curatore: Andrea Sanvittore
Indirizzo: Via Roma 19 – Piová Massaia (AT)
Inaugurazione: 18 aprile ore 17,30
Orari: apertura nel primo week end e fino al 4 maggio su prenotazione
Ingresso gratuito
Informazioni e appuntamento: 335.5350025 (anche WhatsApp)