Galleria Massimo Minini presenta Ambiguous Mouths, una mostra di Paul P., inaugurata in galleria il 21 settembre.
Quando ho incontrato per la prima volta il titolo Ambiguous Mouths, ho pensato immediatamente a una soglia: una bocca sospesa tra parola e silenzio, tra eros e attesa. È qui che, per me, si colloca la pittura di Paul P.: in quello spazio intermedio dove l'ambiguità non è incertezza, ma strategia, postura. Non è la prima volta che P. affida a un titolo un ruolo performativo. Già nel 2024, con la mostra Sibilant Esses a New York, aveva trasformato la sibilanza in materia estetica, ribaltando uno stereotipo queer — la voce effeminata — in un dispositivo poetico. Con Ambiguous Mouths, lo spostamento è ancora più ampio: dall'enfasi fonetica all'intero organo della bocca, che è al tempo stesso sede della voce e del desiderio, soglia del linguaggio e del segreto. Da regista teatrale, abituato a trattare titoli, suoni e voci come chiavi capaci di dischiudere mondi, riconosco in questi titoli la stessa funzione: anticipano l'opera, ne spalancano lo spazio.
La matrice concettuale di P. nasce dal suo fascino per la letteratura queer e per la tradizione decadente. Proust, Montesquiou, Baron Corvo, Ronald Firbank, Jocelyn Brooke: figure che trasformarono lo stile in campo di battaglia, in un codice di sopravvivenza e in strumento di seduzione. In Firbank leggo un'affermazione che P. sembra incarnare: «I adore italics, don't you?» (1). Il corsivo come postura queer: una deviazione minima ma radicale, sufficiente a inclinare il senso. Allo stesso modo, P. piega le immagini: prende fotografie pornografiche nate per il consumo immediato e le trasforma in ritratti enigmatici, apparizioni sospese. La sua pittura funziona come un corsivo visivo : l'esplicito si fa allusione, il consumabile si trasforma in memoria. Le sue fonti provengono dalla pornografia gay degli anni Settanta e primi Ottanta: riviste, film, impaginazioni sgargianti, colori saturi — un'estetica che mescola classicismo, psichedelia, controcultura hippie e new wave. Le fanzine, autoprodotte e diffuse in circuiti indipendenti, erano manufatti culturali oltre che strumenti di desiderio: ogni scelta tipografica, cromatica e materica costituiva un immaginario autonomo. Fotografi ed editori erotici dialogavano con arte e cinema, inventando un nuovo realismo: indugiando sui volti e sugli ambienti, attingendo tanto all'antico quanto alla decadenza fin de siècle.
Le fotografie che P. seleziona non sono mai casuali: provengono da un arco storico preciso, tra l'emergere della liberazione gay e la prima consapevolezza della crisi dell'AIDS. Migliaia di immagini — dai magazine nudisti e "physique" fino alla pornografia clandestina — compongono un archivio subculturale, uno dei documenti visivi più intensi della giovinezza maschile di quell'epoca. Eppure, P. isola solo i volti che già contengono la possibilità della pittura: li ritaglia, negando la visione del corpo intero, concentrandosi sulla complessità emotiva più che sull'oggettificazione sessuale. I ritratti emergono "dallo studio come se fosse un laboratorio" (2): un'operazione che ha anche qualcosa di teatrale, come il gesto di un regista che decide cosa lasciare nell'ombra e cosa illuminare. Il crop di P. funziona come una regia: toglie i corpi, isola i volti, guida lo sguardo. Ciò che era oggetto diventa soggetto di memoria ed emozione. Il suo stile dialoga costantemente con la storia dell'arte. Whistler, Sargent: non come citazioni nostalgiche, ma come strategie di seduzione. Velature, dissolvenze e fusioni tra figura e sfondo generano apparizioni sospese che incantano con la bellezza mentre lasciano intravedere storie di identità. P. è radicalmente contemporaneo nella contraddizione: pittura a velature interrotta da un colore acceso, disegno accademico che convive con monocromo minimale. Non c'è mimetismo, ma una tensione continua fra continuità e dissonanza.
Un altro aspetto che colpisce è la scelta di rovesciare le gerarchie: l'artista preferisce piccoli formati, media fragili come l'acquerello e il pastello, generi "minori" come il ritratto intimo o il paesaggio atmosferico. È nella marginalità che trova una nuova intensità. La tradizione è adottata ma anche complicata, inclinata, destabilizzata — come l'italico di Firbank. Accanto ai ritratti, i paesaggi. Venezia e Venice Beach: due poli, due città acquatiche e marginali, due immaginari queer. Venezia come città letteraria per eccellenza, luogo di dissolvenza morale e reinvenzione identitaria; Venice Beach come epicentro della pornografia gay e della controcultura surf. Entrambe nutrono l'immaginazione dell'artista. In plein air a Venezia, P. disegna lungo i canali, restituendo non la cartolina ma l'atmosfera: nebbia, luce, umidità. Le stesse qualità emergono nei volti: figure come tramonti, dissolvenze, presenze crepuscolari. Nei suoi quadri percepisco la stessa sospensione che vibra in Pelléas et Mélisande di Debussy: musica di ombre, silenzi e mezze tinte che evoca più di quanto dichiari. Come scrisse Debussy:
«Je me suis servi, tout spontanément d'ailleurs, d'un moyen qui me paraît assez rare, c'est-à-dire du silence [...], comme un agent d'expression et peut-être la seule façon de faire valoir l'émotion d'une phrase.» (3)... leggi il resto dell'articolo»
Per lui, il silenzio non era assenza, ma sostanza espressiva. Allo stesso modo, con P., ambiguità e sospensione non sono vuoti ma strumenti attivi: l'immagine vive negli intervalli tra presenza e assenza, eros e segreto. Questa affinità si estende oltre Pelléas et Mélisande . Nei Préludes , ogni miniatura evoca senza raccontare, lasciando al silenzio il compito di completare la frase musicale. In Clair de lune , le dissolvenze e i riflessi suggeriscono più di quanto mostrino, e in La Mer il movimento si costruisce attraverso chiaroscuri e timbri mutanti. Così in P. figure e gesti appaiono e si ritirano con delicatezza, catturando la transitorietà emotiva. Torna in mente anche Death in Venice di Britten: un'opera in cui desiderio e decoro, eros e morte si intrecciano in un'atmosfera febbrile e sospesa. Nei quadri di P. riconosco la stessa bellezza inquieta, dove il desiderio non si afferma mai direttamente ma si trasfigura in immagine. Alla fine, tutto si ricompone: la letteratura decadente con il linguaggio obliquo, l'archivio pornografico trasmutato in ritratto, i paesaggi veneziani carichi di spettri, un'opera scandita da tempi sospesi. Tutto converge in Ambiguous Mouths : una bocca che non dichiara ma allude, che seduce senza raccontare, che trattiene un segreto. Una bocca queer, organo del linguaggio e del desiderio, sempre in bilico tra rivelazione e mistero.
Fabio Cherstich
Note
1. Paul P., Centaurs on the Beach , in You & i are Earth , ed. Fergus Feehily (Dublino: Paper Visual Art, 2020).
2. Paul P., Final Copy: The Twin Interviews , Francesca Gavin (Copenhagen: At Last Books, 2025).
3. Claude Debussy, Lettera a Ernest Chausson , 2 ottobre 1893, in Correspondance (1872–1918) , a cura di F. Lesure e D. Herlin, Gallimard, 2005.
Mostra: Paul P. - Ambiguous Mouths
Brescia - Massimo Minini
Apertura: 21/09/2025
Conclusione: 15/11/2025
Organizzazione: Massimo Minini
Indirizzo: via Luigi Apollonio 68 - 25128 Brescia
Info: Tel. 030383034 - info@galleriaminini.it
Sito web per approfondire: https://www.galleriaminini.it/
Facebook: galleriamassimominini
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