Synedokhḗ - Frammento, corpo, relazione

  • Quando:   28/09/2024 - 28/10/2024

Arte contemporaneaMostre a VercelliVercelli


Synedokhḗ - Frammento, corpo, relazione

Studiodieci Citygallery a Vercelli, inaugura sabato 28 settembre 2024 alle 17:00, "Synedokhḗ - Frammento, corpo, relazione", una mostra d'arte contemporanea a cura di Barbara Pavan con opere di Luciana Aironi, Isobel Blank, Susanna Cati, Michela Cavagna, Carla Crosio, Patrizia Fratus, Andi Kacziba, Matteo Lombardi, Camilla Marinoni, Laura Mega, Lucia Bubilda Nanni, Diego Pasqualin, Elena Redaelli, Davide Viggiano. La mostra è visitabile fino al 27 ottobre 2024.

Descrivere cosa sia il corpo implica oggi la difficoltà di codificare una pluralità di declinazioni e di sguardi che costringono a mettere in discussione ogni definizione ereditata dalle generazioni che ci hanno preceduto. In un processo che dura dagli albori della consapevolezza della stirpe, gli esseri umani hanno sempre cercato di ampliarne e potenziarne le possibilità. Il risultato di questa trasformazione è causa della difficoltà di raccontare in maniera univoca l'esperienza del corpo che è esattamente questo, un'esperienza, un processo in fieri che acquisisce di volta in volta funzione, significato e valore diverso. Non solo per l'unicità del singolo ma anche per le infine combinazioni di elementi che vi si intrecciano e a seconda dei differenti punti di vista da cui lo si osserva o delle diverse discipline attraverso le quali lo si definisce.
Dentro a questo labirinto di ipotesi si snoda questa mostra che come indica il titolo - Synedokhḗ - parte dai frammenti per esplorare questo dispositivo che usiamo e che siamo al contempo e per indagarne la relazione con l'altro, con il mondo.

Più i quattordici artisti e artiste si interrogano sul corpo nella contemporaneità e più si moltiplicano le domande e le incognite sul futuro. Il percorso espositivo conduce il visitatore in un viaggio dentro e intorno al corpo, in ricerca – senza sapere in anticipo di cosa – lasciando aperta la possibilità di scoprire l'inaspettato, affrancati dall'algoritmo che ci suggerisce cosa potrebbe interessarci, cosa potremmo voler conoscere. Dopo millenni di speculazione filosofica, religiosa, scientifica, il nostro corpo ha ancora infiniti segreti da rivelare. Occorre immergersi in questa mostra con lo spirito e la curiosità del viaggiatore e non del turista perché, come scrive il grande antropologo Marc Augé, il turista consuma la propria vita, il viaggiatore la scrive.

Synedokhé. Le opere, testo di Barbara Pavan

Quello di Luciana Aironi è un corpo che attraverso l'epidermide connette interiorità ed esteriorità, che nutre con la prima la narrazione che si manifesta sulla pelle rivelando la circolarità che trasforma gli effetti degli accadimenti del mondo che ci circonda in elementi che diventano parte di noi che elaboriamo e restituiamo e che lasciano tracce indelebili. Aironi ricama sulla lastra radiografica, in un cortocircuito tra memoria antica e resistente delle ossa e fugace brevità dell'esistenza umana: imprime, stratifica, scrive con ago e filo, racconta l'energia, la forza, il tempo che fanno di un corpo una vita.... leggi il resto dell'articolo»

Trasformazione è la parola chiave anche per Isobel Blank per un video in cui coniuga il corpo, il movimento e il tempo declinati tra nuove tecnologie e pensiero ecologico moderno che vede la natura come un tutto interconnesso, un sistema di forze attive. La metamorfosi sembra dunque il vero processo che vince la morte dei corpi come l'abbiamo a lungo intesa. Ogni io è un bozzolo – sostiene il filosofo Emanuele Coccia – e il bozzolo è la prova che la vita costruisce per intero il proprio cosmo, che la vita trasforma costantemente lo spazio nel quale si dispiega e, per questa stessa ragione, la vita vive sempre sé stessa. 

Ispirata dalla capacità di vedere nell'ampiezza del significato del verbo che arriva fino alla speculazione filosofica e alla cifra spirituale, Susanna Cati attraverso l'occhio porta la riflessione sull'evoluzione e lo sviluppo dei singoli organi in relazione alle istanze del proprio tempo e di conseguenza al loro significato culturale, sociale, persino sacro. Appare chiaro infatti che il nostro corpo si è adattato nel corso della storia ad esigenze e condizioni di vita differenti: indubbiamente il contadino che arava a mano la terra impiegava muscoli diversi da quelli che richiedono ore seduti al computer. L'osservazione che sembra banale in realtà cela uno spostamento di visione in relazione alle priorità e, non ultimo, evidenzia attraverso i cambiamenti del corpo, un passaggio del pensiero. Nel suo saggio Chiara Valerio, ad esempio, nota che una delle patologie più diffuse tra le persone in carcere è la miopia. Per via dell'orizzonte corto. La perdita di prospettiva è una faccenda pratica. Anche la possibilità di allargare le immagini sui nostri smartphone è esercizio alla miopia. Ci esercitiamo ad accorciare l'orizzonte perché senza prospettiva la fine non esiste. 

Il legame ancestrale – naturale e culturale - tra il corpo femminile, il sangue e i riti iniziatici, è al centro della ricerca di Michela Cavagna che in quest'opera esprime la potenza persino violenta della vita. Ida Magli sosteneva che la donna è stata ovunque tabuizzata, evitata, collocata fuori dallo spazio degli uomini poiché è viva della vita dei morti. Il corpo della donna è magico e spaventoso poiché è aperto al trascendente in quanto è "attraversandolo" che giunge sulla terra il nuovo nato (il quale appartiene, prima della nascita, al mondo di là). Il corpo è un fattore determinante della forma in cui le culture si sono sviluppate e nella definizione di identità e ruoli nell'ambito delle società umane.

La malattia è un elemento che imprimendo un cambiamento nella materia ne porta con sé uno altrettanto profondo sulla psiche, sul pensiero, sulla sfera emotiva. Carla Crosio ci costringe a confrontarci con la dimensione del dolore, che coinvolge il nostro corpo ma che incide, marchia a fuoco, l'essenza dell'individuo, non fosse che perché il dolore acuisce la percezione di sé. Esso contorna il sé. Disegna i suoi contorni.  Ma al contempo ci rende estranei a noi stessi, ci svela la nostra impotenza di fronte all'impossibilità di controllare qualcosa che è parte di noi ma allo stesso tempo, non ci appartiene, che vive ed evolve a prescindere dalla nostra volontà. Un alieno con cui dobbiamo imparare a trattare e che rivela a noi stessi la conoscenza della nostra vera natura. Il mondo contemporaneo è un inferno dell'Uguale in cui imperversa l'indifferenza che fa scomparire l'incomparabile. Il dolore è realtà, uno straniero a cui non siamo preparati in una società e in un tempo in cui la digitalizzazione riduce sempre più la resistenza e fa gradualmente sparire l'interlocutore recalcitrante, ciò che è contro, il controcorpo. In quest'opera il corpo è il confine permeabile tra la realtà e la parte più sensibile di noi, veicolo che ci riconnette con la nostra umanità – dolorosa e viva – e con i suoi limiti.

Trasformazione è anche la pietra angolare delle due opere di Patrizia Fratus. La prima afferisce alla pluralità dell'individuo e riconosce nella diversità e nella possibilità di sperimentare narrazioni nuove e non sclerotizzate, la via per la realizzazione, l'evoluzione ed emancipazione degli esseri umani anche attraverso la pratica artistica che da anni la vede impegnata in progetti di arte relazionale e partecipata. La sua Faccia a faccia si pone come uno specchio in dialogo diretto con l'osservatore rivelando la molteplicità che alberga in ognuno di noi. La seconda opera testimonia il potere trasformativo delle mani che come in alchimia, imprimono un cambiamento sulla materia innescandone contemporaneamente uno altrettanto significativo sull'alchimista. L'uomo – sosteneva Henri Focillon - ha fatto la mano, nel senso che a poco a poco l'ha emancipata dai vincoli del mondo animale liberandola da un'antica schiavitù imposta dalla natura; ma la mano ha fatto l'uomo. L'azione della mano definisce il vuoto dello spazio e il pieno delle cose che lo occupano. Superficie, volume, densità, peso. Tocchiamo il mondo e lo trasformiamo: il tatto colma la natura di forze misteriose.  Abdicare all'uso della mano porta con sé una rinuncia tout court: l'essere umano del futuro disinteressato alle cose non è un homo faber bensì un homo ludens. Gli apparecchi da lui programmati si fanno carico del lavoro. Gli uomini del futuro sono senza mani, ma la mano è l'organo del lavoro e dell'azione. Il dito, di contro, è l'organo della scelta. L'uomo senza mani del futuro ricorre solo alle dita. Sceglie invece di agire. 

L'influenza del Tempo sul corpo è il tema della ricerca – artistica ed esistenziale - di Andi Kacziba che nella serie di piccoli arazzi in mostra restituisce ne restituisce i segni e le tracce sulla pelle umana. Come ogni riflessione che riguarda il corpo, essa si espande fino ad esaminarne le ricadute per gli individui e per le comunità. Si affronta, ad esempio, raramente cosa significhi invecchiare nelle società contemporanee per le donne. Poco ci si confronta sul cosiddetto giovanilismo o su quello che oggi chiamiamo ageismo cioè la discriminazione sulla base dell'età. Si tratta di una vera e propria colpa che viene attribuita alla donna che invecchia, perché "la morte della bellezza giovanile viene considerata la morte del femminile", come ha scritto Loredana Lipperini in Non è un paese per vecchie. È come se la donna, invecchiando, si portasse dentro qualcosa che marcisce. La donna non più legata alle funzioni riproduttive diventa simbolo di morte, e quindi colpevole di ricordare con il suo stesso corpo il più grande tabù del XXI secolo.  Kacziba rivendica il diritto alla vecchiaia e le sue opere sottraggono le donne mature alla condanna all'invisibilità.

Si spinge oltre Matteo Lombardi che osa declinare nella sua opera il termine carogna nell'intreccio di significati tra la vita e la morte, il bene e il male. Svuotato della sacralità e del mistero, il nostro tempo rifugge l'immagine, la rappresentazione, l'idea stessa della morte. Non la vediamo nella nostra quotidianità com'era per le società rurali dove essa era pratica quotidiana del sopravvivere. Non la frequentiamo nel rito: non tocchiamo più i corpi dei morti, non li laviamo, non li vestiamo, non li accompagniamo come comunità. La morte è spettacolarizzata nei dispositivi digitali ad ogni istante, ma completamente cancellata dallo spettro visivo ed esperienziale delle nostre vite. Questa cancellazione ci consente inconsciamente di credere di essere immortali e di covare la speranza che la carne incorruttibile e incorrotta possa infine resuscitare in sembianze di macchina forse, avendo la stessa voce, le stesse forme, la stessa postura, potendo insomma colmare l'assenza, sostituire la perdita. La trasformazione che è caratteristica del fluire della vita nei viventi assume un ulteriore e altro significato: è evoluzione tecnologica dove il limite tra l'individuo umano e il suo equivalente artificiale è sempre più sfumato.
Esplora la meraviglia del corpo come complesso e articolato dispositivo di relazione con sé stessi e con il mondo Camilla Marinoni in due opere in cui approfondisce la sua impenetrabilità sondandone gli aspetti più nascosti e più enigmatici. Quanto abbiamo consapevolezza di questo corpo che abitiamo? Quanto conosciamo davvero della superficie della pelle che lo contiene? Sappiamo davvero di cosa parliamo quando ci identifichiamo con esso: dove e come appare, ad esempio, ogni singolo organo, piega, fibra, neo? In un capovolgimento tra dentro e fuori, l'artista intreccia e ri-combina i diversi elementi in forme ibride che evocano il corpo superandone però l'immagine precostituita e scontata che ne abbiamo rivelandone connessioni interiori ed esteriori inaspettate.

L'approccio di Laura Mega passa per la visione dell'arte come azione trasformativa – sociale e politica. Attenta ai temi legati ai diritti civili e alla condizione femminile nel mondo, Mega affronta nelle sue opere temi seri e questioni stringenti senza mai rinunciare nella rappresentazione alla cifra ironica, un linguaggio formale capace di arrivare e penetrare in maniera immediata anche un pubblico meno attento o sensibile alle istanze urgenti della contemporaneità in un mondo sommerso da una massa mostruosa di immagini e di informazioni. Il singolo elemento – il capezzolo nello specifico - diventa in Set me free promemoria di una battaglia innescata dall'attrice e attivista Lina Esco per promuovere l'uguaglianza di genere, legalmente e culturalmente, contro ogni ipocrisia. Il cuore che si fa calpestabile è invece il secondo singolo elemento che, mutuato dalla narrazione romantica, diventa qui simbolo di sopraffazione e di prevaricazione nella relazione con l'altro, laddove i sentimenti e le emozioni vengano strumentalizzati ed abusati.

È un macro-corpo che sfida la cesura tra mente e corpo quello di Lucia Bubilda Nanni, ricamato con la sua pesante Bernina 1008 a pedale, senza disegno preparatorio. Una sfida condivisa con il nipote, un bambino di tre anni, in cui entrambi imparano a gestirne la dimensione inconsueta e incontrollabile, esplorandolo come una mappa in cui si incontrano e si intrecciano stratificazioni – anche temporali - di percorsi del sapere ora convergenti ora divergenti e in cui l'arazzo cambia forma e dimensione a seconda dell'ambiente che lo accoglie e della forma che assume con l'allestimento. Il gioco evoca il metodo con cui la stirpe umana evolve procedendo per azione e sperimentazione, di verifica in verifica e di cui il tradimento del sapere sclerotizzato e istituzionalizzato, la violazione del dogma (come l'intoccabilità dell'opera per il bambino) è premessa irrinunciabile.

Si muove tra ascensione e discesa agli inferi l'opera di Diego Pasqualin, un lavoro in cui il lungo e articolato processo di manipolazione del materiale coincide con l'esplorazione del mistero che permea la vita – tra trasformazione e metamorfosi. In una narrazione che è viaggio nella poesia della notte quanto ricerca dell'affrancamento dalla paura del buio, l'artista restituisce una geometria essenziale eppure complessa da leggere nell'essenza da cui proviene, in cui si manifesta e in cui sta già evolvendo.

Arte e ricerca convergono per Elena Redaelli in una pratica che ha nel corpo il suo strumento di indagine e sperimentazione. È attraverso il tatto, il gesto, la manipolazione, infatti, che supera la dimensione del semplice contatto tra superfici, di cui la pelle costituisce il limite e confine, per penetrare dentro l'essenza del mondo, immergersi nella sua morfologia, fino a confondersi con la sua sostanza, elemento tra gli elementi di un pianeta a cui sente di appartenere nella stessa forma e misura di tutti gli altri – viventi e non viventi. È un esercizio che non può prescindere da una contaminazione tra discipline diverse proiettato ad osservare la fenomenologia del pianeta da punti di vista altri e molteplici per trovare percorsi altrettanto plurali e alternativi in risposta alle istanze incalzanti derivate da un equilibrio nel rapporto tra esseri umani e ambiente sempre più precario e ormai da tempo in discussione. Redaelli applica il metodo scientifico ad una pratica artistica rigorosa e visionaria per indagare quella cosmologia della mescolanza che Emanuele Coccia indica come autentica immanenza in cui tutto è in tutto, una relazione tra le cose del mondo che costituisce essa stessa il mondo e dove ogni azione è interazione o, meglio, interpenetrazione e influenza reciproca. Celebrare questo rapporto indissolubile con l'ecosistema qui tramite una profonda immersione nei ritmi e nelle vibrazioni della natura, attraverso una danza simbolica che sollecita una presa di coscienza del ruolo dell'uomo nella rete della vita.

Entrambe le opere di Davide Viggiano, infine, individuano nell'ibridazione l'identità dell'uomo contemporaneo. Un processo che consentirà all'umanità di liberarsi dalla gabbia di configurazioni informi dell'individuo dettate da pressioni e modelli sociali massificanti e talvolta retaggio di epoche precedenti. Sperimentare una muta continua, cambiando pelle e la natura stessa della pella, consentirà ad ogni essere umano di (ri)trovare la propria dimensione, la propria verità, il proprio corpo.

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Mostra: Synedokhḗ - Frammento, corpo, relazione

Vercelli - StudioDieci CityGallery

Apertura: 28/09/2024

Conclusione: 28/10/2024

Organizzazione: StudioDieci CityGallery

Curatore: Barbara Pavan

Indirizzo: piazzetta Pugliese Levi 10 - 13100 Vercelli

Inaugurazione: sabato 28 settembre 2024, ore 17:00

Orari: venerdì, sabato e domenica dalle ore 17:00 alle ore 19:00

Info: mob. + 39 393 0101909

Catalogo in mostra



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