Tono Zancanaro [Un Ricordo]

  • Quando:   27/09/2025 - 23/11/2025

Arte contemporaneaMostre a Padova


Tono Zancanaro [Un Ricordo]

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Sabato 27 settembre alle 17.00 il MAC Museo di Arte Contemporanea "Dino Formaggio" inaugura una mostra di opere del grande artista padovano Tono Zancanaro, un omaggio che il MAC vuole rendergli a quarant'anni dalla morte. 

Interverrà all'inaugurazione l'artista e amico Elio Armano.

La mostra è visitabile fino al 23 novembre 2025.

Una mostra immersiva, a cura di Stefano Annibaletto, nei segni indistinguibili dell'arte unica e profonda del grande Tono Zancanaro che "ha amato Padova nella sua storia e nella sua gloria millenaria, ma, soprattutto, nella sua gente di popolo, quella più umile e laboriosa, quella delle piccole case dei quartieri poveri..." - Dino Formaggio, novembre 1993.

Un ringraziamento particolare a Manlio Gaddi e Tono Zancanaro Archivio Storico.

Con il sostegno della Fondazione Cariparo.... leggi il resto dell'articolo»

Di seguito il testo completo di uno scritto di Dino Formaggio su Tono Zancanaro esposto in mostra.

DINO FORMAGGIO

L'immaginazione creatrice nell'opera di Tono Zancanaro

Non sempre immaginare è creare. C'è chi vive immaginando dalla mattina alla sera senza mai creare. S'aggira tra le nuvole d'un fantasticare improduttivo, pigro e felice se le fantasmatiche immagini che gli svolazzano intorno sono piacevolmente liete, ripiegato su se stesso o malinconico se queste hanno il volto della tristezza o del dolore. Subisce. Si lascia trasportare passivamente dall'onda delle immagini vaghe ed incerte.
Subisce una condizione già da lungo tempo studiata che oscilla tra un puro fantasticare e un immaginare riproduttivo. Questa immaginazione "riproduttiva" ha pure -come è noto- un'utile funzione mentale di riproduzione e legame conoscitivo tra le sensazioni e percezioni interne ed esterne ed il formarsi delle immagini che le doppiano. Essa non crea potenti e nuove immagini inedite. Non affronta e trasforma la concreta durezza del mondo. Solo un'immaginazione non più solo riproduttiva, ma autenticamente creatrice, capace di riversarsi sulle materie, di impastarle e trasformarle in nuovi e concreti modi trasfigurati, apre la via che passa dalla conoscenza all'azione. E solo nel tuffarsi del conoscere nel fare si realizza la creazione: allora nasce l'opera. In particolare l'opera d'arte. C'è pure chi si aggira tra la gente fantasticando svolazzi di immagini d'ogni genere.

Compiaciuto dice: "Quale artista io sono!". Ma non è artista. Difficile e duro lavoro di ricerca e di penetrazione attiva nelle materie della natura e del mondo, sguardo che trapassa e giudica la realtà, penetrandola fino al cuore, per poi ridarla in nuove forme e figure fuori dal vaneggiare del divenire, saldamente fissate nelle materie dell'opera d'arte: questo è ciò che caratterizza l'artista. Il suo "fare" nasce da lunghi e pazienti processi di apprendistato e di innesti di conoscenze del mondo, di partecipazione attiva e giudicante alla vita, alla società, al tempo, di crescita di umanità. E, dentro a questi lunghi processi creativi, egli versa, senza soste, tutta la propria vita. Quanto più di umanità e di immaginazione creatrice possiede, tanto più grande si consegna agli uomini la sua opera di grande artista.
Ebbene: questo è il caso di Tono Zancanaro. Egli impersona al più alto grado l'immaginazione creatrice artistica. La impersona dalla nascita. Certo tracciava segni fin dalla sua agitazione nell'utero materno. Eppure, dopo le prime prove, all'arte, Tono arriverà tardi, fin sotto i trent'anni. Non è di quegli artisti precoci che danno rivelazioni compiute già a nove anni, come Picasso.

Ma la lenta maturazione viene anche da un lungo girovagare del genio nativo, dalla natura e dallo studio, che non è mai studio accademico, ma esperienza della casa, della gente, della società, intensa e penetrante esperienza di popolo e di mondo. E quando egli darà corso all'arte, sarà una torrenziale produzione quotidiana di segni e di opere fino al suo ultimo giorno. Quel tre giugno 1985, quando la voce prese a correre tra gli amici sgomenti e tutta Padova si strinse intorno al suo straordinario cantore delle tiepide luci delle sue case e delle sue piazze antiche, a volte alitate da penombre segrete e fedeli lungo i porticati delle stradicciole, a volte popolate da improvvise apparizioni, febbricitanti desideri e fantasmi trasvolanti di splendide donne carnose e curvilinee dagli sguardi maliziosi e assassini. Tono era morto quel giorno e, nell'improvviso vuoto che si apriva con la sua scomparsa, prendeva a vivere, per lui e per tutti, in Padova, in Italia, nel mondo, la multiforme folla di migliaia di figure (più tardi verranno catalogate oltre quindicimila opere) che, con lui, salivano in un grande volo, fuori dalle strade e dalle case, verso i cieli Incontaminati e imperituri della vita e della gloria dell'arte. Era gente di popolo che s'accovacciava nei suoi poveri panni smollacciati (com'erano le braghe non sempre chiuse di Tono) col cappellaccio calato sugli occhi, nell'ora della siesta, ai piedi delle grandi statue magniloquenti di Prato della Valle. Qui, in Pra, Tono veniva a cogliere e immortalare, negli anni trenta, la piccola gente che già aveva disegnato nelle sale d'aspetto e sui vagoni di terza classe, crepuscolari pensionati insonnoliti e ripiegati su sè stessi giacevano addosso ai piedistalli statuari del pomposo giganteggiante Antenore, mitico fondatore di Padova, o dei grandi papi qui riuniti in circolo con l'Ariosto, il Tasso, Pietro d'Abano, Petrarca, Mantegna, Canova, tutti insieme, in questa, che è tra le più vaste e belle piazze d'Italia, ad esaltare la gloria della città. Tono ha amato Padova nella sua storia e nella sua gloria millenaria, ma, soprattutto nella sua gente, quella più umile e laboriosa, quella delle piccole case dei quartieri poveri, dai quali anche la sua famiglia era uscita e cresciuta impiantando un'officina meccanica, dove Tono, dopo il servizio di leva e una parentesi sportiva (che l'aveva visto noto calciatore, campione di marcia e soprattutto campione

'Italia di Hockey su prato e intine un impiego in banca, er entrato a lavorare col padre. Ma è a Firenze, a contatto, nel 1929, con i geniali nipoti Renzo e Silvano Bussotti di precoci tendenze artistiche, e, più tardi, nel 1935, con l'incontro determinante, decisivo e incisivo, con Ottone Rosai e la sua pittura, che la vocazione sotterranea di Tono per il disegno e la pittura, esplode in tutta la sua forza travolgente. Tono s'avventa sulla carta -la lotta del bianco e del nero (della luce e dell'ombra da cui escono i mondi)- con l'impeto del leone e con la dolcezza delle colombe. Gli occhi chiari strizzati e socchiusi a cogliere il segno e il pensiero insieme nel loro comune nascimento, riempie uno dopo l'altro centinaia di fogli; scendono a vivere sulla carta, sui notes degli appunti stradali, sulle lastre delle acqueforti, sulle pietre delle litografie, sui piatti, sulle piastrelle, sui vasi di cottura, migliaia di segni figurali, folle di immagini che escono trasfigurate dalla realtà.

Dall'abbraccio con la realtá, amata ma mai subita, carezzata ma sempre ricreata, cantata, giudicata. Niente realismo o naturalismo di nessun tipo, sempre immaginazione creatrice vivente e potente, fatta di sensibilissima corporeità e di un originale, del tutto personale "veder dentro", intuire, tra gentilezza e ironia, le curve dei corpi nel loro offrirsi e nel loro incontrarsi. Le squillanti, ridenti come fiori, nudità della donna, come le feroci deformazioni caricaturali, cariche di giudizio etico e politico, del "Gibbo" mussoliniano.

Una grande apoteosi della corporeità umana, fatta segno volante del vivere associato, delle tirannie padronali e delle povertà servili, ma soprattutto del turgore delle carni e dell'amore. Nasce cosi al mondo uno dei più grandi grafici di questo secolo, non solo nell'arte italiana, ma nella vita artistica e culturale europea. Un disegnatore senza pause, senza cifre accettate, senza esibizione di acrobazie intellettualistiche o forzosamente avanguardistiche e, peggio, neo- avanguardistiche. In tempi di ingannevoli richiami e di oscure confusioni nel mondo del l'arte, Tono non na seguito nessuno.

È avanzato tra molti e grandi amici, ma sempre tutto solo e fiero col suo segno inconfondibile. Un segno viscerale e filosofico insieme, che sgorga felice e senza sforzo dalla terra, dalla carne corporea che esplora il visibile e l'invisibile. In un'epoca senza miti, culturalmente povera e sempre più meccanizzata, Tono solleva vasti cieli mitologici, mentre diventa, in mezzo alla sua gente, mito egli stesso. Gira per le strade, a Padova, a Firenze, a Roma, in Sicilia, tra le risaie della bassa padana, a Parigi, in Russia, in Cina, dovunque cittadino del mondo, sempre sbracato, con camicioni rossi, e giacconi variopinti sotto strane grandi sciarpe cadenti ai lati, e strane berrette in testa. Incontra sogghignando amici di ogni genere, intellettuali e politici come Eugenio Curiel, straordinario eroe della Resistenza dalla cui quasi quotidiana frequenza nel 1936 trasse l'ispirazione politica di tutta la sua vita e la rabbia antifascista che lo portò a concepire il grande ciclo satirico dei disegni del "Gibbo", incontra a Padova Meneghetti e Marchesi, i vertici di una resistenza antifascista universitaria; a Firenze, già nel 1936, s'imbatte nella feconda amicizia, ricca di insegnamenti di una pittura di popolo, con Ottone Rosai; e poi, via via, nei contatti nutritivi con Ernesto Treccani a Milano, con Guttuso a Roma, con Sciascia nei suoi lunghi soggiorni siciliani, e poi Parigi daccapo (che già gli aveva rivelato il Surrealismo, fatto subito congeniale alla sua visione), i viaggi in Russia, Polonia, Germania, infine in Cina. Sempre disegnando e sempre con la stessa cifra stilistica ed interpretativa. Non occorrono tante chiavi per spalancare il senso del mondo: ne basta una sola, ma chiara e precisa, eticamente solida, per dischiudere i segreti dello svariante gioco delle mille apparenze del mondo.

Tono era entrato gioiosamente in possesso di questa chiave, una sua chiave personale di lettura del mondo, costruita nell'officina meccanica di suo padre e poi limata e raffinata fino all'eleganza a contatto del molti e validissimi amici. Il famoso GIBBO, una mostruosa e danzante, nelle sue iperboliche curve, deformazione satirica di Mussolini e del fascismo, nasce dai fondi di una rabbia popolare etica, segretamente durante la guerra tra il 1942 e il 1945 -fogli per amici, oltreché sfogo per sè stesso-. Figuralmente, viene dal Gibbo, terribile figura del "tradimento" nel famoso film IL TRADITORE di John Ford (il regista di indimenticabili films di quegli anni), patavinando il nome e fisicizzandone la figura in quella del lottatore "Angelo", mascelluto e grosso come un bue, che si esibiva per le strade di Padova a torso nudo. Genesi di un mito negativo, quasi sempre nutrito, in un ciclo di duemila disegni, di movimenti e intrecci surrealistici di fortissimo impatto e complesse significazioni di reali eventi o discorsi.
Qui, come negli altri cicli grafici dove si mitologizzano i CARUSI efebici siciliani, le LEVANE variamente mescolate in amore, l'amica BRUNA, fatta BRUNALBA e BRUNANOTTE tra le "caruserie" siciliane di piena esaltazione classica, fino alle stupende chine bianche che filano meravigliosamente fiorite nelle illustrazioni per la Divina Commedia, 1964, e alle cifrate FOSCARIANE, alle litografie SELINUNTEE degli anni settanta e alle gioiellerie impreziosite dei disegni a china e penna per la POPPEA del nipote Sylvano Bussotti. Per non dire di altri cicli di pari intensità, o, intramezzati a questi, dei tragici disegni dei partigiani impiccati o dei sorrisi cinesi dei fiori di loto.
Un'immensa produzione difficile da abbracciare nel suo vasto insieme e, forse anche per questo (oltreché per una sua imperiosa inattualità stilistica, totalmente estranea ai percorsi delle attualità avanguardistiche), non ancora del tutto valutata appieno nella ricchezza dei suoi valori umani e stilistici, se si eccettuano i notevoli avvicinamenti linguistici, materiali e formali, critici e culturali di Carlo Ludovico Ragghianti nel 1975.

Anche per me (se mi si permette un ricordo personale), debbo dire che il cammino che mi ha portato da un primo sentito dire a Milano (me ne aveva parlato nel 1944 Eugenio Curiel in brevi incontri resistenziali di organizzazione culturale nella mia casa), al contatto diretto con l'uomo e le sue opere a Padova (dove ero passato con la cattedra universitaria), fu, solo qui che mi divenne estremamente rivelatore. Bisogna aver sotto gli occhi le centinaia e centinaia di disegni, di acqueforti, di litografie, di ceramiche incise, di mosaici, di tele, per poter chiudere, in un solo abbraccio valutativo, i preziosi valori che da li emergono e disegnano uno dei più validi e alti risultati della cultura e della storia artistica di questo secolo. Bisogna aver visto Tono, per la millesima volta chino sul foglio bianco, solcarlo lentamente con la sua dolce linea flessuosa, sottile, dell'inchiostro di china, inseguire le volute e le ampie curve, col giro della mano e senza mai staccare la penna, mentre nascevano le miracolose creature dei sogni di amore e di bellezza, o delle contorsioni surrealistiche della satira politica e morale. Non si potrà mai dire abbastanza di queste creature inedite, tratte fuori da Tono lungo tutta la sua vita, dalla terra e dalla sua feconda natura, dalla vita del suo e nostro tempo. La verita dell'arte è sempre più vasta e potente, generatrice di multiformi vite dall'interno e al di sopra della vita, della povertà della parola. Per questo il Realismo di Tono, un realismo poetico ed etico, è sempre più che realismo. Perché è sempre vita piu che vita. E per questo ancora l'immaginazione di Tono non e mai banalmente riproduttiva, di niente e di nessuno, e si consegna al posteri nelle sue opere come una delle più originali e delle più alte forme, quelle dell'arte, di una autentica
Immaginazione creatrice donatrice di sensi inediti alla nostra storia e al mondo.
(novembre 1993)

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Mostra: Tono Zancanaro [Un Ricordo]

MAC | Museo d'Arte Contemporanea Dino Formaggio

Apertura: 27/09/2025

Conclusione: 23/11/2025

Organizzazione: MAC | Museo d'Arte Contemporanea Dino Formaggio

Curatore: Stefano Annibaletto

Indirizzo: Palazzetto dei Vicari - Teolo (PD)

Inaugurazione: sabato 27 settembre 2025, ore 17 con un intervento di Elio Armano

Orari: sabato e la domenica dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19. Dall'ultima domenica di ottobre l'orario pomeridiano di apertura sarà dalle 15 alle 18.

Ingresso libero

Sito web per approfondire: https://www.museodinoformaggio.it



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