La mostra "Il Tempo del Futurismo", appena inaugurata alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma, rappresenta l'ultimo capitolo di un anno cruciale per celebrare il ruolo fondativo del movimento nell'evoluzione artistica e culturale, in Italia e oltre, con un'eredità che continua a influenzare il presente.
Da una rilettura dei Manifesti futuristi e di quanto espresso dai massimi esponenti di quella stagione artistica, è evidente, oggi più che mai, di come il Futurismo ha intuito non solo le rivoluzioni tecnologiche, ma anche i modi in cui la società e l'arte avrebbero reagito a queste trasformazioni.
Le idee espresse del Futurismo hanno certamente influenzato l'arte dei decenni a venire come poche altre avanguardie hanno saputo fare, anche se il movimento ha dovuto scontare una lunga fase di emarginazione nella critica artistica, soprattutto in Italia, a causa dell'avvicinamento culturale al Fascismo durante il Ventennio. Questo legame, che ha segnato una parte della produzione futurista, ha portato molti a vedere nel movimento soprattutto una funzione propagandistica, oscurando per anni la sua influenza innovativa e il suo contributo fondamentale al dibattito artistico internazionale.
Ripercorriamo di seguito, partendo dagli eventi più recenti e attuali fino a quelli passati, un anno di grandi mostre che hanno riacceso i riflettori sul movimento e ne hanno riscoperto la visione rivoluzionaria e la sua attualità rinnovata nei decenni.
Futurismo: Visione di un mondo nuovo
Promossa e sostenuta dal Ministero della Cultura e curata da Gabriele Simongini, la mostra "Il Tempo del Futurismo" celebra l'ottantesimo anniversario dalla scomparsa di Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento nel 1909.
Secondo Gabriele Simongini, il Futurismo si fonda su un «completo rinnovamento della sensibilità umana» grazie alle grandi scoperte scientifiche dell'epoca. L'automobile, il telefono, il cinema e l'elettricità non erano solo innovazioni tecniche, ma catalizzatori di una nuova estetica e sensibilità, come si evince dal Manifesto tecnico della letteratura futurista di Marinetti. Il curatore sottolinea come i futuristi abbiano immaginato «la creazione dell'uomo meccanico dalle parti cambiabili», una visione che richiama direttamente le odierne discussioni sull'intelligenza artificiale e sulla simbiosi uomo-macchina. La tecnologia diventa quindi non solo uno strumento, ma un'estensione dell'essere umano.
Potremmo dire che per i primi futuristi la nuova musa ispiratrice fu proprio la modernità e tecnologia, in una concezione dell'arte dinamica, che si immergeva nel futuro rifiutando la tradizione. Boccioni e Balla hanno rappresentato la velocità e il movimento come elementi centrali di una nuova estetica. Le loro opere, come Velocità astratta o Dinamismo di un ciclista, incarnano questa rottura con il passato, abbracciando una visione "immersiva" del mondo, anticipatrice della connected society moderna. Marinetti arriverà a prevedere che "Gli uomini del futuro parleranno con telefoni senza fili e nei prossimi decenni grazie all'uso dell'elettricità scriveremo su libri di nichel alti non più di tre centimetri dotati tastiere e ciascuno di questi conterrà l'equivalente di centinaia di migliaia di pagine." ... leggi il resto dell'articolo»
Per saperne di più sulla mostra, aperta al pubblico il 3 dicembre, che presenta circa 350 opere fra quadri, sculture, progetti, disegni, oggetti d'arredo, film, oltre a un centinaio fra libri e manifesti, continua a leggere.
Gli echi del Futurismo nel Graffitismo newyorkese alla fine degli anni '70
John "CRASH" Matos Visions in motion, 2024 Pittura a spray su tela 120 x 170 cm. Collezione Privata
Che cosa possono avere in comune il Futurismo e il movimento nato alla fine degli anni '70 intorno agli artisti che usavano i graffiti nelle strade di New York? Più di quanto si potrebbe immaginare. Ne sono convinti i curatori della mostra "Visions in motion. Graffiti and echoes of Futurism", in corso alla Fabbrica del Vapore di Milano: Carlo McCormick, Edoardo Falcioni e Maria Gregotti.
In primo luogo, entrambi i movimenti condividono l'aspirazione alla rottura con il passato: per il Futurismo italiano, questa rottura era il trampolino verso una nuova estetica della modernità, celebrando la macchina, la velocità e il progresso; per il Graffitismo americano, si trattava di ribaltare l'idea stessa di arte, portandola fuori dalle gallerie e rendendola accessibile a tutti, nelle strade, sui vagoni della metropolitana e sui muri delle periferie urbane. Entrambi i movimenti hanno in effetti messo la città al centro delle loro visioni. La "città che sale" per i futuristi, la città metropolitana, dei tram e dei treni, che trasportavano migliaia di persone alla ricerca di una personale visibilità e fortuna, per i graffitisti.
Un altro elemento comune è il concetto di futuro come aspirazione continua del presente, insieme ai temi della velocità, del dinamismo e del colore. Ciò che cambia, tuttavia, è l'ottimismo: mentre il Futurismo esaltava un progresso tecnologico percepito come intrinsecamente positivo, negli anni '70 emergeva la disillusione, amplificata dalla voce "punk" del no future. L'idea che le promesse del progresso positivo per tutti non si sarebbero realizzate influenzava profondamente il Graffitismo, nato in un contesto urbano di marginalità e ribellione.
Nonostante queste differenze, entrambi i movimenti hanno fatto della velocità, del dinamismo e del colore i tratti distintivi della loro cifra artistica, dimostrando come l'arte possa essere il riflesso delle tensioni e delle speranze del proprio tempo.
Per sapere di più sulla mostra milanese, aperta al pubblico il 30 novembre, e ascoltare le parole dei curatori e di alcuni artisti coinvolti, guarda il nostro video di presentazione.
Per altri dettagli sull'esposizione alla Fabbrica del Vaporre, aperta al pubblico fino al 23 marzo 2025, e sulle modalità di vista, continua a leggere.
Il rapporto tra Futurismo e Fascismo
Enrico Prampolini, Dinamica dell'azione (Miti dell'azione. Mussolini a cavallo), 1939, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Una mostra al Mart di Rovereto, conclusasi a fine settembre, ha voluto approfondire il rapporto tra arte, non solo futurista, e regime fascista durante il ventennio. In questo scenario emerge anche il ruolo del Futurismo, che col Fascismo condivise la celebrazione dell'azione e lo slancio interventista e rivoluzionario. Alcuni artisti futuristi ritraggono il Duce come eroe "nuovissimo": condottiero a cavallo, nocchiere al timone della nazione, aviatore. Negli anni Trenta, gli aeropittori e gli artisti della seconda stagione del movimento fanno proprie le esigenze propagandistiche del regime, celebrandone gli ideali e coniando addirittura il termine "futurfascismo".
Tuttavia, l'avanguardia non riesce a ritagliarsi un ruolo da protagonista nella politica culturale del ventennio, come si può capire dalla quantità modesta di opere futuriste entrate a far parte delle collezioni pubbliche e dal limitato coinvolgimento di artisti quali Prampolini, Balla e Depero nelle grandi committenze statali. In effetti il Futurismo non diviene mai arte di Stato, pur riuscendo a determinare un'estetica moderna in Italia.
Per chi si fosse perso la mostra, offriamo la possibilità di gettare uno sguardo tra le opere e l'allestimento, negli ampi spazi del Mart, attraverso questo video.
Gli echi del Futurismo nella Pop italiana negli anni Sessanta e Settanta
POP/BEAT – Italia 1960-1979. Liberi di Sognare - foto di allestimento (Futurismo Rivisitato di Mario Schifano)
Anche in questo caso, parliamo di una mostra già conclusa per riportare l'attenzione sull'influenza del Futurismo in un altro momento cruciale della storia dell'arte italiana del secondo dopoguerra. La mostra "POP/BEAT – Italia 1960-1979. Liberi di Sognare", organizzata da Silvana Editoriale e dal Comune di Vicenza con la curatela dell'artista Roberto Floreani, ha rappresentato un'occasione imperdibile per esplorare questo legame.
Come per il Graffitismo americano, ci si potrebbe chiedere quale filo conduttore possa collegare due movimenti apparentemente così distanti come il Futurismo e la Pop Art italiana, e più in generale l'arte che, negli anni '60 e '70, voleva rompere con il panorama artistico precedente dominato dall'Informale e dall'Espressionismo astratto americano. La risposta è riassunta nelle parole del critico Alan Jones, che sottolineava come negli anni '60 e nel decennio successivo "l'energia dell'arte italiana non aveva paragone in nessun altro paese d'Europa [...] Peccato che non si poteva chiamarla, all'epoca, Neo-Futurismo".
Questa energia si manifesta, come nel Futurismo, in uno spirito di ribellione e rottura con il passato, unito all'esaltazione delle nuove possibilità espressive offerte dai materiali sviluppati per l'industria. Boccioni, nel Manifesto tecnico della scultura futurista del 1912, anticipava questa idea, scrivendo: "Lo scultore può utilizzare venti o più materiali diversi in un'unica opera, purché l'emozione plastica lo richieda. Ecco una piccola parte di questa scelta di materiali: vetro, legno, cartone, cemento, crine di cavallo, pelle, tessuto, specchi, luce elettrica, ecc.".
Oltre alla spinta verso la sperimentazione materiale, c'è anche una profonda consapevolezza del peso della storia e del retaggio lasciato dalle avanguardie storiche, a partire proprio dal Futurismo. Emblematica, in questo senso, è la serie Futurismo Rivisitato di Mario Schifano, in cui l'artista riprende la celebre fotografia del gruppo dei cinque futuristi a Parigi (Luigi Russolo, Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Gino Severini), rileggendola in chiave contemporanea e sottolineando il dialogo costante tra passato e presente.
Anche in questo caso, per chi avesse perso la mostra vicentina, possiamo regalare un veloce tour tra le opere e l'allestimento, molto spettacolare e costruito selezionando opere di grande dimensione e del forte impatto estetico, attraverso questo video.
Redazione
Pubblicato il 04/12/2024
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