Martedì 14 Marzo 2017 siamo stati ospiti presso lo studio di Fabrizio Campanella.
Oggi volevamo riportare il suo pensiero riguardo la sua arte e il suo "oggettivismo astratto".
L'intervista del nostro Stefano Sassi la potete alla fine dell'articolo su questa pagina o sul nostro canale Facebook
"La mia ricerca, definita per la prima volta “oggettivismo astratto” dalla giornalista Laura Mattioli nell’articolo “Campanella ovvero della morte dell’astrazione” pubblicato nel 2008 sul quotidiano “Il Messaggero”, si distingue dall’Astrattismo storico per una più mirata contaminazione con le tecnologie e con le nuove modalità di percezione suggerite dai media e dall’informatizzazione di massa. Ciò che prima, in sostanza, era il circuito di un più diretto contatto tra uomo e natura, è stato interrotto oggi, idealmente e non solo, dall’interferenza di un monitor, di un ipotetico schermo, che simile a una membrana si frappone tra osservatore e fenomeno imponendo a entrambi le alterazioni, e le sintesi ottiche, introdotte dalle sue logiche di funzionamento e dalle sue modalità di traduzione virtuale.
Basterebbe questo, come primo, preliminare approccio al problema, per giustificare, anche nella rappresentazione pittorica, un conseguente adeguamento del quadro ai codici di quelle alterazioni, e di quelle sintesi, prime fra tutte una progressiva semplificazione dell’immagine e, nel contempo, l’abolizione della sfumatura, del chiaroscuro, della mestica e di altre tecniche tradizionalmente usate nel modo di trattare il colore e la tela secondo la lezione accademica; ma non basta. Gli odierni strumenti informatici cui accennavo recano in dote, prima ancora del monitor o dello schermo che ci consentono di “vedere”, la complessa, controversa e complicata comprensione del reale introdotta dai programmi e dai software che ci permettono di “elaborare”.
Partire da un input, per sovrapporgli diverse scritture, chiavi di interpretazione, e poi predisporne l’esito a ulteriori, successivi passaggi di stato – da “fisico” a “mentale”, da “originale” a “seriale”, da “reale”, appunto, a “virtuale” – delinea una serie infinita di possibilità, nello sviluppo di un format, che ben oltre il terminale che le trasmette allo sguardo sono impiantate nel modus operandi del tipo di applicazione installata, ad esempio, in un computer. La manipolazione del “dato” inserito nell’hardware non si limiterà, sic et simpliciter, a una sua mera riproduzione, ma lo convertirà in un “modello”, che può essere ridisegnato e modificato a posteriori, nelle molteplici varianti che l’applicazione stessa consente. Di quel modello, alla fine del processo, saranno cancellati alcuni tratti riconoscibili, della sua iniziale e “fisica” identità, per immetterne altri che non esistono, in concreto, se non come frutto di una costruzione alternativa e parallela rispetto all’universo tangibile degli oggetti e delle cose.
Non è pensabile, a parere di chi scrive, che il linguaggio della Pittura di oggi sia impermeabile alle dinamiche di queste nuove metodologie di rimaneggiamento e alterazione dell’immagine che hanno soppiantato il ruolo delle filosofie e dei sistemi di pensiero sottesi alle Avanguardie del secolo scorso. Lo “spirituale nell’arte” di Kandinsky, per questa via, cede il passo agli scenari dell’intelligenza digitale. La sfida della mia pittura, infatti, consiste, un po’ come è accaduto per la televisione con l’abbandono del vecchio segnale analogico, non nel trasmettere una “rappresentazione” analoga appunto, cioè similare, alla sua fonte (sia essa un paesaggio, un ritratto o qualsivoglia altro spunto di racconto), ma nel convertire quella fonte in un diagramma, in un file numerico, dove al posto delle cifre ci sono le linee, le forme e i colori.
Smontando e rimontando quei coefficienti come in un puzzle, mischiandoli e rimischiandoli come le carte di uno stesso mazzo da gioco, non esistono limiti di espansione a questa sorta di astrattismo tecnologico che si è scelto lo strumento “manuale” della pittura applicando ad essa, tuttavia, lo stesso nitore, la stessa compattezza elettrizzata e contrastante che sia nella ratio della composizione, sia nell’uso “piatto” del colore, si pone il traguardo di omologare entrambe alla risoluzione e alla densità della visione fotografica o computerizzata, pur lasciando intravedere il pigmento e la pennellata.
E’ proprio questo il modo che ho scelto per testimoniare il mio tempo: non attraverso la cronaca degli eventi per ciò che sono, ma per il tramite delle dinamiche di costruzione e sviluppo della percezione che ci consentono di ideare e progettare come potrebbero essere."
Fabrizio Campanella
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Pubblicato il 21/03/2017
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