Tre artiste contemporanee: Pacita Abad, Melissa Cody e La Chola Poblete

Continua la grande attenzione, in Italia e a livello internazionale, alla valorizzazione e talvolta alla riscoperta dello sguardo femminile sull'arte, non solo contemporanea, quasi a voler colmare un grande debito di considerazione che le artiste, con poche eccezioni, hanno dovuto subire per secoli rispetto ai colleghi uomini. Presentiamo di seguito tre artiste internazionali di diverse generazioni, ma tutte riconducibili alla contemporaneità, che sono oggi protagoniste grazie a presenze espositive in Italia e all'estero.

Pacita Abad, Old Dhaka, 1978, olio su tela, 89x125 cm. In mostra al Moma PS1 di New York. (foto Itinerarinellarte.it)

Cosa le accomuna dal nostro punto di vista? Dall'aver guardato all'arte come strumento per affermare un'identità e un retaggio culturale, per gettare uno sguardo originale e critico sulla contemporaneità e le sue contraddizioni. Partite da mondi e culture più o meno lontani, hanno saputo conquistare l'attenzione nel nostro mondo così autoreferenziale, pur con linguaggi e riferimenti iconici che non appartengono all'immaginario "classico".

Pacita Abad

Pacita Barsana Abad (5 ottobre 1946 – 7 dicembre 2004) è stata un'artista ivatan (gruppo nativo delle isole Batanes delle Filippine) e filippino-americana. La sua carriera pittorica, durata più di 30 anni, ebbe inizio quando si recò negli Stati Uniti dalla Spagna per intraprendere studi post-laurea. Abad, lasciò infatti il suo Paese da ragazza, anche per sfuggire alla persecuzione politica del regime autoritario di Marcos, e giungendo negli Stati Uniti nel 1970, trovò la sua libertà personale ed espressiva, pur restando legata, anche nelle tecniche utilizzate, alle sue origini e a quanto appreso nella sua infanzia in famiglia. Nella sua carriera d'artista ha esposto le sue opere in oltre 200 musei, gallerie e altri luoghi, tra cui 75 mostre personali, in tutto il mondo. Le opere di Abad sono oggi presenti in collezioni d'arte pubbliche, aziendali e private in oltre 70 paesi.

Ancora per pochi giorni, fino al 2 settembre, è protagonista al MoMa PS1 di New York con una mostra che presenta più di 50 opere, alcune di grandi dimensioni e molte esposte per la prima volta negli Stati Uniti, che abbiamo avuto il piacere di ammirare personalmente il mese scorso. L'opera di Pacita Abad è presente in Italia in questo periodo, grazie alla presenza alla Biennale di Venezia, nel Nucleo Contemporaneo ospitato all'Arsenale.

Per lo più autodidatta, Abad è conosciuta soprattutto per i suoi dipinti trapuntati, realizzati cucendo e imbottendo le sue tele anziché stendendole su un telaio di legno, e questa peculiarità, insieme all'uso talvolta esuberante del colore, e ai soggetti rappresentati, non può che catturare l'attenzione dell'osservatore. Nel suo lavoro Abad cercò di dare visibilità ai rifugiati politici e ai popoli oppressi: "Ho sempre creduto che un artista abbia un obbligo speciale di ricordare alla società la sua responsabilità sociale", disse. La mostra di New York, organizzata dal Walker Art Center in collaborazione con la fondazione di Abad, vuole celebrare la varietà espressiva di un'artista che ha vissuto il suo impegno d'artista e impiegato la sua creatività per focalizzare l'attenzione su temi universali quali la globalizzazione, il potere e la resilienza.

Pacita Abad, 1991

I Thought the Streets Were Paved with Gold, 1991 - Acrilico, olio, pennello, tela dipinta e stoffa dipinta su tela cucita e imbottita - Collezione privata, Londra

Durante una visita a Ellis Island, Abad rimase colpita da una citazione del 1903 di un immigrato italiano esposta in un museo: "Sono venuto in America perché avevo sentito dire che le strade erano lastricate d'oro. Quando sono arrivato qui, ho scoperto tre cose: primo, le strade non erano lastricate d'oro; secondo, non erano lastricate affatto; e terzo, mi aspettavano per lastricarle."... leggi il resto dell'articolo»

Nel dipinto sopra rappresentato, "I Thought the Streets Were Paved with Gold", Abad onora il lavoro degli immigrati che lavorano come badanti, domestici, elettricisti, idraulici, operai edili, venditori ambulanti e infermieri. La frase "Una realtà americana," scritta a mano libera, contrasta il mito dorato della prosperità generalmente associata all'America per chi proviene da paesi più poveri.

Melissa Cody

Melissa Cody, nata nel 1983 a Mesa, è un'artista Navajo di No Water Mesa, Arizona, Stati Uniti, che si dedica alla fiber art (arte tessile). Anche in questo caso è stata la visita al PS1 di New York a farci scoprire la sua arte, essendo in corso la mostra "Webbed Skies" fino al 9 settembre 2024. Un'altra storia affascinante, lontana dal retaggio artistico occidentale, qui testimoniata nella sua prima mostra personale in un'istituzione museale di rilievo. La mostra copre l'ultimo decennio della sua attività, presentando oltre 30 opere tessili. Utilizzando tecniche di tessitura consolidate da tempo (si tratta di un'artista di quarta generazione rispetto alla tecnica di tessitura), ma incorporando nuove tecnologie digitali, Cody assembla e reinterpreta modelli popolari in sofisticate sovrapposizioni geometriche, utilizzando tinture e fibre atipiche.

Melissa Cody

Melissa Cody in mostra al MoMa PS1 fino al 9 settembre 2024

I suoi arazzi portano avanti le tecniche tradizionali della tessitura Germantown Navajo, sviluppatasi a partire dalla lana e dalle coperte prodotte a Germantown, Pennsylvania, e fornite dal governo degli Stati Uniti al popolo Navajo durante l'espulsione forzata dai loro territori a metà del 1800. Durante questo periodo, le coperte razionate venivano smontate e il filo veniva utilizzato per creare nuovi tessuti, una pratica di recupero che divenne la fonte del movimento. Pur riconoscendo questa storia e lavorando su un telaio tradizionale Navajo, le opere di Melissa Cody esplorano palette di colori e modelli sperimentali che si animano attraverso la reinvenzione, ridefinendo le tradizioni in diversi cicli di evoluzione.

Figura emblematica e ricorrente nelle opere esposte è quella del ragno e dell'ispirazione alla leggenda della "donna ragno". Secondo la leggenda, la Donna Ragno tessé una mappa dell'universo e insegnò alle donne Navajo a tessere. Come una ragnatela, i tappeti tradizionali Navajo sono realizzati dall'interno verso l'esterno. Un tessitore segna il punto centrale del disegno e annoda i fili al centro della tessitura; tutti e quattro i quadranti sono simmetrici e immagini speculari l'uno dell'altro. Ma Cody è molto più di una tradizionale tessitrice Navajo, e questo diventa immediatamente evidente. Con la guida di sua madre, Cody sentì il richiamo a sperimentare e si consultò con i suoi anziani. Cody iniziò a realizzare tappeti che rompevano con la tradizione: creava disegni asimmetrici, incorporava immagini e testi e utilizzava colori vivaci che si discostavano dalla tavolozza tradizionale. 

Into the depths

Into the Depths, She Rappels 2023 - Wool warp, weft, selvedge cords, and aniline dyes Gochman Family Collection

Cody è cresciuta in una riserva Navajo a Leupp, Arizona, e ha conseguito una laurea in Arti Visive e Studi Museali presso l'Institute of American Indian Arts di Santa Fe. Il suo lavoro è stato esposto presso la Barnes Foundation, Philadelphia (2022); il Crystal Bridges Museum of American Art, Bentonville, AR (2021); la National Gallery of Canada, Ottawa (2019–2020); il Museum of Northern Arizona, Flagstaff (2019); SITE Santa Fe (2018–19); l'Ingham Chapman Gallery, University of New Mexico, Albuquerque (2018); il Navajo Nation Museum, Window Rock (2018); e il Museum of Contemporary Native Arts, Institute of American Indian Arts, Santa Fe (2017–18). Le opere di Cody fanno parte delle collezioni del Stark Museum of Art, Orange, Texas; del Minneapolis Institute of Arts; e del The Autry National Center, Los Angeles. Nel 2020, ha ricevuto il Brandford/Elliott Award for Excellence in Fiber Art.

La Chola Poblete

Torniamo in Italia, con riferimento ad una mostra che sarà invece inaugurata tra pochi giorni al Mudec, Museo delle Culture di Milano. Il 13 settembre prossimo sarà infatti inaugurata la mostra "Guaymallén", che ci consente di conoscere l'artista argentina, nata nel 1989, La Chola Poblete, che nel 2024 è già presente in Italia alla Biennale di Venezia, nel Nucleo Contemporaneo ospitato all'Arsenale.

La Chola Poblete

La Chola Poblete, Barroco Andino, 2023, acquerello su carta, 200 x 152 cm © La Chola Poblete

Artista, performer e attivista per i diritti LGBTQ+, La Chola Poblete si è aggiudicata il prestigioso premio internazionale "Artist of the Year" che Deutsche Bank dedica all'arte contemporanea, giunto nel 2023 alla sua dodicesima edizione. Nella sua pratica artistica, La Chola Poblete ricorre a differenti media e tecniche, come scultura, pittura, performance, disegno, fotografia e video arte, per esplorare tematiche legate all'eredità della colonizzazione e all'influenza pervasiva del capitalismo globale, oltre che all'identità di genere. Anche nel caso di Guaymallén, l'artista ha voluto realizzare un omaggio alle origini indigene e all'identità: prendendo il nome dalla sua città natale nel nord-ovest dell'Argentina, ai piedi delle Ande, la mostra attinge alla vita, l'esperienza e la visione di La Chola Poblete per realizzare un racconto profondamente personale ricco di bellezza, ma anche di crudeltà e ribellione.


La Chola Poblete

La Chola Poblete, Virgen del Carmen de Cuyo, 2023, acquerello, acrilico e inchiostro su carta, 200 x 152 cm © La Chola Poblete

I grandi acquerelli di La Chola Poblete rivelano la fluidità derivante dalla sua identità. Una marea di esseri ibridi convive con motivi astratti, religiosi e pop, tra cui figurano piccole riproduzioni delle sue opere, come le maschere di pane. La Vergine è un motivo centrale e sfaccettato nell'opera di quest'artista, che incarna il sincretismo tra cultura occidentale e comunità indigene. 

Pubblicato il 28/08/2024

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