Da un'idea di Vittorio Sgarbi, torna a Palazzo dei Priori di Fermo "Il tempo delle mostre", con le opere pittoriche di due grandi pittori del Novecento: Antonio Ligabue e Giuseppe Pende. Le due mostre ne presentano la genialità, il tormento, la realtà e il sogno attraverso oltre 80 opere.
Fino al 5 maggio 2024 le sale del Palazzo ospitano insieme due esposizioni per raccontare le rispettive genialità: "Spiriti selvaggi. Antonio Ligabue e l'eterna caccia" a cura di Vittorio Sgarbi e Marzio Dall'Acqua e "Giuseppe Pende. Realtà, sogno e visione" a cura di Vittorio Sgarbi.
Spiega Vittorio Sgarbi: "Antonio Ligabue è più che un pittore e più che un artista. Ne esonda i confini, non rappresenta, non illustra, non ritrae ma prolunga la vita nella pittura. Ligabue descrive un mondo; non ha altro interesse. Non c'è favola: c'è rabbia, c'è sofferenza, c'è esaltazione. Giuseppe Pende è un artista coltissimo che riflette sull'antico connubio tra arte e scienza e un uomo eclettico dalla personalità prorompente, gioiosa e coinvolgente. È pittore, scultore, atleta, pianista per diletto e anche amatissimo insegnante di disegno dal vero all'Istituto d'Arte di Fermo. Li troviamo a Fermo, l'uno a fianco dell'altro, vicini e distanti, a rappresentare la necessità dell'espressione artistica che, forse, è in ciascuno di noi".
Spiriti selvaggi. Antonio Ligabue e l'eterna caccia
La mostra di Antonio Ligabue, curata da Vittorio Sgarbi e Marzio Dall'Acqua, propone oltre 40 opere, di cui il quadro immagine della mostra "Vedova nera" che non è esposto dal 2015 e due inedite "Volpino" e "Aratura con buoi". L'esposizione di Fermo presenta la sua natura dipinta, teatro di una violenza implacabile, e alcuni autoritratti nei quali dipinge il proprio dolore esistenziale, gridandolo con l'urgenza di una sensibilità intensa e ferina.
Antonio Ligabue appare assolutamente anomalo fra i pittori del Novecento. Nella sua violenza, nella sua espressività animale, si misura soltanto con Van Gogh, del quale può considerarsi una variante italiana. Il dissociato stato mentale di Ligabue lo portò all'isolamento, acuendone non poco le sofferenze. In questa esperienza di dolore, una sola consolazione, una sola possibilità di riscatto, percorsa fino in fondo: l'arte, che consente la fuga dalla condizione che si continua a considerare una malattia. L'arte è per Ligabue un antidoto allo squilibrio mentale ed è l'unico modo per dare ragione alla follia.
Scrive Marzio Dall'Acqua: "Ligabue dopo e oltre la leggenda oggi rappresenta una natura in tutta la sua complessità, nell'equilibrio biologico tra i diversi regni e le diverse specie e la mostra lo rappresenta. Il mondo di Ligabue è tra il presente e lo sparire del passato, se continua l'attuale incapacità di reagire alla crisi climatica. Intuiva la lotta per la vita come momento fondante dell'esserci e dell'essere, nell'inquietante rapporto totale, definitivo, di sospensione tra vita e morte. Straordinario momento insieme quotidiano, nel senso che apparteneva ai possibili eventi di ogni giorno, in ogni latitudine e con qualsiasi vivente, che faceva parte costitutiva delle pulsioni di sopravvivenza".... leggi il resto dell'articolo»
La mostra di Antonio Ligabue a Fermo è un'antologia di belve feroci che lottano per la sopravvivenza: una vera e propria giungla che l'artista immagina con allucinata fantasia fra i boschi del Po. La natura dipinta da Ligabue è il teatro di una violenza implacabile. Per Ligabue essere autodidatta vuol dire seguire una lingua propria, istintiva, fuori dall'accademia. Essere autodidatta è una condizione necessaria. Il suo, fin dagli inizi, è un corpo a corpo con la tela, in una dimensione visionaria, che non ha niente a che fare con il Surrealismo, e che rappresenta, attraverso gli archetipi della foresta, della giungla, della terra dei contadini, del fiume, la verità primaria di un uomo senza storia. In realtà, prima della storia, liberare istinti, pulsioni, desideri e, ancor più, mimare l'urlo della tigre per meglio rappresentarla, è una liberazione come fu, per i pittori-cacciatori, nelle grotte di Lascaux.
Con queste immagini primordiali si misura Ligabue, fuori del tempo e fuori del suo tempo. La forza dell'uomo si manifesta come istinto animale belluino. Quello che è assolutamente singolare in Ligabue è che non si individua una fonte di ispirazione o una qualsivoglia trascrizione di modelli artistici e letterari. La pittura di Ligabue nasce come necessità di espressione, attraverso una fantasia che è rimasta infantile. L'unica sua fonte di ispirazione è lo zoo, il mondo degli animali in cattività, trasferito poi sul Po. Dal Po e dallo zoo esce Ligabue. Disagio è la condizione psicologica dell'artista, e disagio è ciò che distingue l'artista da chi non lo è. L'artista sa di essere artista, e intende il suo disagio come distinzione.
Negli autoritratti, invece, Ligabue esibisce il suo mondo interiore. Ligabue parla con sé stesso, si chiede e ci chiede qualcosa. Anche in questo caso è evidente il disagio. Ligabue si batte la testa con un sasso, cerca di scacciare gli spiriti maligni. L'autoritratto non è una forma di narcisismo, esprime la necessità di capirsi meglio, in un processo di autoanalisi. L'autoritratto è l'immagine del malessere, e Ligabue ci tiene a farlo conoscere. Qualche volta più tranquillamente va in motocicletta, evidente metafora di un animale nella foresta. Un'altra volta ci appare come un cacciatore, solenne davanti alla tela. Più spesso si mostra a mezzo busto, con lo sguardo allucinato o umiliato. In quelle serie, in quelle sequenze, Ligabue ci vuole dire di sè e di un mondo interiore. La pittura di Ligabue è una proiezione metaforica del mondo nel suo stato di ebollizione, di violenza implicita nella forza. Volpe, tigre, leone, leopardo, serpente, grande ragno, gorilla e, talvolta quieto talvolta minaccioso, anche Ligabue. Gli animali che vede nella foresta sono simboli di forza, di energia, emblemi di un desiderio di libertà, di riscatto. Ligabue, uomo umiliato ed emarginato, come pittore si afferma e vince attraverso la potenza gloriosa dell'animale. La forza di Ligabue supera i confini dell'arte, e il confronto con un'opera di De Chirico e di Morandi lo mostra inequivocabilmente. Ligabue continua a essere sempre uno degli artisti italiani più popolari del Novecento.
Giuseppe Pende. Realtà, sogno e visione
È il tormento di un'anima che grazie alla pittura trova la propria voce e il proprio riscatto. 40 opere presentano l'arte di Giuseppe Pende, pittore sospeso tra innovazione e tradizione, spesso in fuga verso l'immaginario. Ha una visione paradisiaca della natura, un grande amore per il vero e la tendenza a rendere poetico e suggestivo il verosimile anche di soggetti irreali e fantastici. La mostra è curata da Vittorio Sgarbi.
Giuseppe Pende si distingue nel panorama del Novecento per la sua poetica originale e per la sua maestria nel vero e nel verosimile delle nature morte, dei ritratti, degli scorci pugliesi, marchigiani e di Zara e dei paesaggi inventati, spesso immersi in un'atmosfera da sogno. Dipinge ciò che più ama per ottanta anni, lasciando pochi mesi prima della sua scomparsa i pennelli che gli mette in mano a otto anni il padre, pittore dilettante di professione magistrato. Giuseppe Pende è affascinato sin da giovanissimo dalla pittura dei grandi del passato e non si rifà ad alcuna particolare scuola o movimento a lui contemporaneo, ma si affida al suo personalissimo sentire, alla sua spinta irrefrenabile al miglioramento, al suo essere al contempo scienziato e poeta della realtà e dell'immaginario sulla tela. Attratto dal nuovo, dal futuro, riempie ogni istante del suo presente e reagisce ai dolori dell'anima con un crescente attaccamento alla vita. Quell'intenso piacere di vivere riversa nella pittura insieme a tutto l'amore per la bellezza del creato e lo fa con una nobile ricerca, una tecnica sopraffina ed una creatività effervescente.
La mostra di Giuseppe Pende nel Palazzo dei Priori a Fermo, con dipinti di proprietà degli eredi, potrebbe sembrare a colpo d'occhio più una collettiva di pittori che una piccola selezione di opere di un unico artista, ma il filo conduttore è il suo genio pittorico che incanta anche per l'equilibrio compositivo, la bellezza, la poesia e per la serenità e la sorpresa indotte nell'osservatore che, al cospetto di alcuni suoi paesaggi, può anche giocare con la mente cercando quei particolari microscopici e invisibili a occhio nudo che li fanno divenire, dopo l'impatto iniziale, dei paesaggi surreali. Emblematica l'opera "Con le pietre parlavo" variante del '92.
A Fermo lo portano le vicende della guerra nel '42 e in seguito sceglie di non tornare in Puglia, nella condizione privilegiata delle sue origini, ma rimane a vivere con moglie e figli accanto al fiume Tenna. Lì trascorre un decennio tra i più entusiasmanti della sua vita, avvolto dalla natura straripante di fiori, di profumi e di colori. Lascia a malincuore il Tenna nel '54 per avvicinarsi al centro città per il maggior bene dei figli, ma al fiume continua sempre a tornare e passeggia anche in montagna, in campagna, lungo la costa. Mentre si rigenera nel fisico e nella mente, studia i fenomeni della luce e l'armonia dei colori che trasferisce nei suoi dipinti, o riporta in una lezione a scuola, o mette per iscritto con riflessioni profonde, lucide e originali come quelle sui vantaggi della pittura sulla natura e ancor più sulla fotografia. Da anziano è costretto a una vita più sedentaria dai guai dell'età e da quelli tipici degli sportivi che abusano troppo a lungo del loro fisico, e allora viaggia nelle sue tele, nei cieli immensi e ariosi, nelle profonde incantate, negli specchi d'acqua, tra i sassi, i ramoscelli e i cespugli di luoghi luminosi che popola di persone incuranti del tempo che passa, a volte in compagnia di personaggi strani, di giganti o di giullari, e in ognuno di quei paesaggi il pittore ritrova dei momenti di sé.
Giuseppe Pende sceglie di tenersi lontano da mostre e concorsi, dalle grandi piazze artistiche e dal mercato dell'arte di cui non condivide i meccanismi in atto alla sua epoca. In tarda età scrive "Non ho mai tenuto a procurarmi fama di pittore di una certa levatura per molte ragioni. Soprattutto perché nella mia vita di artista la più parte delle mie energie sono state spese per migliorare me stesso e dare quanto più ho potuto ai miei allievi". Le sue lezioni efficaci, spassose e ricche di agganci interdisciplinari, citate come straordinarie da generazioni di studenti, contribuiscono a tenere accesi la fama e il ricordo di questo artista, molto stimato dai suoi concittadini anche come persona in ragione della sua gentilezza, generosità e umanità.
È il tempo che Giuseppe Pende, pittore genio, si palesi al di là di questo territorio.
La nuova stagione espositiva è promossa da Regione Marche e Comune di Fermo con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo e in collaborazione con Ligabue art projects e Mus-e del Fermano. Sponsor dell'evento sono Eurobuilding, Giano, CFL, Violoni Srl, ACRA Carifermo, Il Faro e La Cascina. L'organizzazione è affidata a Maggioli Cultura e Turismo.
Mostra: Il tempo delle mostre. Antonio Ligabue e Giuseppe Pende
Fermo - Palazzo dei Priori
Apertura: 06/12/2023
Conclusione: 05/05/2024
Curatore: Vittorio Sgarbi e Marzio Dall’Acqua
Indirizzo: Piazza del Popolo, 5 - 63900 Fermo
Orari: martedì-venerdì 10:30-13.00 e 15:30-18.00 | sabato e domenica 10:30-13.00 e 15:30-19-00 | lunedì chiuso | Previste aperture straordinarie in occasione di eventi e festività.
Biglietto: intero € 8,00 | ridotto € 6,00 | gratuito under 13, disabili, soci Icom, giornalisti con tesserino | biglietto include anche l'ingresso al circuito museale della città
Per info: +39 0734 217140 | museidifermo@comune.fermo.it
Sito web per approfondire: https://www.fermomusei.it/
Facebook: https://www.facebook.com/museidifermo
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