Arte Contemporanea

Mauro Drudi, con il giusto sguardo.

Come le opere di questa mostra definita per convenzione “antologica”, esposte tutte assieme nello stesso spazio e nello stesso momento anche se così apparentemente diverse.

Il titolo di questa mostra non si riferisce direttamente all’ultimo album dei Police, “Synchronicity”, uscito nel 1983, ma all’affascinante teoria della sincronicità di Carl Gustav Jung sulla quale il successo planetario dei Police è basato. Jung, quando parla di sincronicità, analizza quelle che comunemente vengono definite “coincidenze”, cioè due cose che avvengono nello stesso momento senza avere apparentemente nessun legame causale. Come le opere di questa mostra definita per convenzione “antologica”, esposte tutte assieme nello stesso spazio e nello stesso momento anche se così apparentemente diverse.

C’è un legame fra loro? C’è qualcosa che le unisce?

La biografia dell’autore ci suggerisce una spiegazione: Drudi smette di dipingere a 7 anni e ricomincia a 47 trovandosi quasi costretto a dipingere nello stesso lasso temporale quello che normalmente viene dipanato lungo il corso di un’esistenza.

Ma è tutto qui? È davvero tutto qui?

Forse la parola più giusta sarebbe stata “sincronia”, in questo caso, in inglese “synchronie”, ma alla fine ha prevalso “synchronicity”. Perché? C’è qualcos’altro? Probabilmente sì. Probabilmente, queste opere non sono qui solo perché sono state dipinte tutte assieme nello stesso lasso temporale. Per tornare a Jung, nulla accade per caso e con il giusto sguardo possiamo superare le barriere dell’apparenza, per rintracciare le connessioni fra fatti e cose solo apparentemente diversi, i legami più profondi che regolano le dinamiche del nostro universo. Probabilmente, quindi, anche lo sguardo dello spettatore non si ferma su una linea netta o sullo schizzo di uno stelo per caso. Probabilmente, sta cercando quei legami. Anzi, li sta già trovando.

 

 

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Pubblicato il 30/01/2019

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