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Kessels. Quando la foto diventa Pop Art

Per gli amanti della fotografia una mostra da non perdere. Erik Kessels è a Torino per la sua prima esposizione, da oggi fino alla fine di luglio. Personaggio eclettico, conoscitore dell'arte contemporanea a tutto tondo, Kessels non è un vero e proprio fotografo, è un assemblatore di immagini C'è molto pop nelle sue realizzazioni e la foto diventa uno strumento d'arte.

Quando la fotografia diventa base per la pop art.. Si potrebbe racchiudere in questo modo il messaggio dell’olandese Kessel che da oggi, fino al 30 luglio, è in esposizione al Torino presso Camera, il Centro Italiano per la fotografia. The Many Lives of Erik Kessels, a cura di Francesco Zanot, è la prima mostra retrospettiva dedicata al lavoro fotografico dell’artista, art director ed editore olandese Erik Kessels.

In vent’anni di carriera, Kessels si è affermato come riferimento primario e imprescindibile nel campo della cosiddetta ‘fotografia trovata’. 
Anziché riprendere nuove immagini, per la maggior parte dei suoi progetti raccoglie fotografie pre-esistenti e le riutilizza come tasselli all’interno di un proprio mosaico. È un fotografo senza macchina né obiettivo: la fotografia nella sua pratica è un ready-made che viene prelevato e ricontestualizzato. 
Il risultato è una sorta di ecologia delle immagini, per cui nulla si aggiunge alla enorme quantità di rappresentazioni che ormai affolla il mondo e cresce esponenzialmente ogni giorno, ma al contrario viene recuperato e riciclato soltanto ciò che è già disponibile.
In sostanza Kessel assomma tutta una serie di concetti che hanno pervaso il mondo dell’arte dalla Pop fino all’Arte Povera ed è anche una forma  evoluta di Mec Art, un filone pop nato in Francia, ma che ha avuto anche un grande protagonista in Italia come Mariani.
Esposta all’interno dello spazio di CAMERA, The Many Lives of Erik Kessels attraversa la carriera fotografica dell’autore olandese lungo un articolato percorso che include centinaia di immagini. Ventisette sono in totale le serie presentate, oltre a numerosi libri e riviste pubblicati dall’ormai celebre casa editrice dello stesso Kessels (KesselsKramer Publishing) e da altri editori. In un percorso non-lineare e senza cronologia, si ritrovano lavori monumentali, serie più intime e private, autentiche icone dell’intero universo della ‘fotografica trovata’ così come produzioni recenti e ancora inedite.

Tra i lavori in mostra, per fare alcuni esempi, 24hrs of Photos invade letteralmente lo spazio espositivo con una montagna formata dalle stampe di tutte le immagini, centinaia di migliaia, caricate in un solo giorno su Internet. 
My Feet
, maestosa installazione composta esclusivamente dalle immagini dei piedi di chi fotografa, introduce immediatamente i concetti di ripetizione e archiviazione. 
Valery, una donna che per tutta la vita si è fatta fotografare immersa nell’acqua, Oolong, il coniglio equilibrista, e un cane troppo nero per apparire correttamente in fotografia, sono soltanto alcuni dei protagonisti di In Almost Every Picture, ciclo di 14 progetti (fino ad oggi) centrati ogni volta su un soggetto ossessivamente ricorrente. 
My Sister è un video musicato dal compositore giapponese Ryuichi Sakamoto tratto da un home-movie interamente dedicato a una partita di ping-pong tra l’autore e sua sorella, tragicamente scomparsa in un incidente stradale a soli 9 anni. 
Album Beauty è un’intera stanza dedicata al fenomeno degli album di famiglia, tra i soggetti privilegiati da Kessels, che riabilita democraticamente il fotografo amatoriale proiettandolo sotto i riflettori della ricerca artistica.

The Many Lives of Erik Kessels costituisce così a sua volta una grande accumulazione. Innanzitutto di modalità allestitive: tra immagini incorniciate e scorniciate, appese a parete e sdraiate a terra, light-box, cubi, wallpaper, portaritratti e proiezioni, costituisce allo stesso tempo una sintesi e una de-costruzione di ogni possibile mostra fotografica. E di fotografie, naturalmente: non ci sono generi, autori, epoche, geografie esclusi dall’indagine onnivora di Kessels. Fino agli scarti: anziché essere un’onta da evitare accuratamente, qui l’errore diventa al contrario un elemento attrattivo e significante. È ciò che rende speciale una fotografia. Un segno della sua vitalità. Kessels fruga tra i rifiuti dei fotografi restituendoli allo sguardo collettivo sotto una prospettiva completamente rinnovata. Anche di qui viene l’ironia spesso feroce e dissacrante del suo lavoro. Il riso ha una funzione liberatoria e purificante. Consente a Kessels di andare in profondità, calando ogni ipocrisia ed esprimendo una profonda affezione sia per gli involontari protagonisti del suo pantheon fotografico, sia per la fotografia stessa.

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Pubblicato il 01/06/2017

Itinerarinellarte.it