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Pop & Beat a Vicenza. Ecco perché la mostra è di quelle da non perdere

Fino al 30 giugno 2024 la splendida Basilica Palladiana di Vicenza ospita la mostra dedicata al periodo Pop e Beat tra gli anni '60 e '70, visto alla luce del retaggio dello spirito innovatore delle avanguardie storiche e del Futurismo.
Mimmo Rotella, Cleopatra Liz, 1963 - décollage su tela. Collezione Koelliker. Courtesy BKV Fine Art (dettaglio)

L'arte dovrebbe essere sempre libera, interprete del proprio tempo con uno sguardo al futuro, ma ben consapevole dalle strade aperte e percorse dagli artisti e intellettuali che sono venuti prima. Ci sono dei momenti chiave nella Storia dell'Arte, e le avanguardie storiche dell'inizio del Novecento hanno rappresentato certamente uno di questi.

E' possibile leggere una stagione di grande libertà artistica, musicale, letteraria, come quella degli anni '60 e '70 in Italia, alla luce di ciò che hanno rappresentato le avanguardie storiche e il Futurismo? La risposta ce la dà questa mostra, magistralmente orchestrata dal suo curatore Roberto Floreani, che non a caso è egli stesso un artista.

"POP/BEAT – Italia 1960-1979. Liberi di Sognare", voluta e organizzata da Silvana Editoriale e dal Comune di Vicenza, rappresenta un'occasione imperdibile, non solo per vedere riunite un numero notevole di opere di assoluto valore artistico, ma anche per riscoprire la tensione alla "libertà di sognare", che ha caratterizzato quel ventennio, ripensandola come necessità esistenziale anche per le nuove generazioni, in un tempo in cui sembra che questa libertà non sia più raggiungibile.

"Una mostra viva, comprensibile, popolare, che riporti nella collettività la leggerezza e la propositività sociale di quegli anni", è l'auspicio del curatore, e dopo averla visitata non possiamo che confermare che l'obiettivo è stato raggiunto.

Comprendere lo spirito della mostra

Ci si può certamente limitare a godere della bellezza delle opere in mostra, molte delle quali non potranno non incuriosire e colpire anche i più profani, per i colori, i materiali, le immagini che vi si ritrovano. Gli appassionati d'arte contemporanea, e in particolare degli artisti ascrivibili alla Pop italiana, saranno rapiti dalla bellezza e dell'importanza storica delle opere esposte. 

Per comprendere in pieno lo "spirito" della mostra è però importante non trascurare i dettagli, e tra questi quello che distrattamente potrebbe sfuggire sono le citazioni riportate in alto in alcuni punti chiave dell'esposizione. Di Carmelo Bene, del critico e curatore statunitense Alan Jones, di Lucio Fontana. Alle loro parole sono consegnate delle idee fondanti che hanno guidato il curatore Roberto Floreani.

Così Carmelo Bene ci spiega che "Per capire un poeta, un artista, a meno che questo non sia soltanto un attore, ci vuole un altro poeta e ci vuole un altro artista."

Citazione Carmelo Bene

Le parole di Alan Jones aprono gli occhi sul fatto che "l'energia dell'arte italiana non aveva paragone in nessun altro paese d'Europa [...] Peccato che non si poteva chiamarla, all'epoca, Neo-Futurismo".... leggi il resto dell'articolo»

La citazione finale di Lucio Fontana ci ricorda che "Nulla verrà distrutto del passato, né mezzi né fini, siamo convinti che si continuerà a dipingere e a scolpire anche attraverso le materie del passato [...] ma saranno pervase da sensibilità più affinata."

Gli artisti in mostra

Sono 35 gli artisti presenti con le loro opere, per un centinaio di lavori esposti. Ci sono tutti i grandi nomi della stagione artistica che vide il superamento dell'Informale che aveva dominato in Europa e negli Stati Uniti, ed una riappropriazione della figurazione, ciascuno con la propria peculiare ricerca e sensibilità: Valerio Adami, Franco Angeli, Enrico Baj, Paolo Baratella, Roberto Barni, Gianni Bertini, Alik Cavaliere, Mario Ceroli, Claudio Cintoli, Lucio Del Pezzo, Fernando De Filippi, Bruno Di Bello, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Pietro Gallina, Piero Gilardi, Sergio Lombardo, Roberto Malquori, Renato Mambor, Elio Marchegiani, Umberto Mariani, Gino Marotta, Titina Maselli, Fabio Mauri, Aldo Mondino, Ugo Nespolo, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Concetto Pozzati, Mimmo Rotella, Sergio Sarri, Mario Schifano, Giangiacomo Spadari, Tino Stefanoni, Cesare Tacchi, Emilio Tadini.

Mario Schifano, Camminare, 1965

Mario Schifano, Camminare, 1965, smalto e grafite su tela. Collezione privata. Courtesy Gió Marconi, Milano

Grande spazio a Mario Schifano che domina con le sue opere la seconda sala. Tra queste, visto l'impronta curatoriale, non poteva mancare un Futurismo Rivisitatoappartenente ad una delle serie più iconiche della produzione di Schifano, in cui l'artista riprese la famosa fotografia del gruppo dei cinque futuristi a Parigi (Luigi Russolo, Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Gino Severini).

I rimandi al Futurismo possono essere scorti in diversi momenti del percorso, fino a giungere alla frase "Voglio dipingere energia", che campeggia sopra i due dipinti di Titina Maselli qui esposti, "Cielo di notte" e "Fili nel cielo", provenienti dalla Collezione Intesa San Paolo.

L'esposizione riscopre anche la grandezza di alcuni artisti che soffrono di una minore popolarità e successo nel mercato delle arti visive, come Lucio del Pezzo o Concetto Pozzati. Di Pozzati sono esposte due splendide opere degli anni '60, appartenenti alla fase in cui l'artista impiegava degli specchi, tra cui "Cade ancora la Pioggia?", del 1968, anch'essa della Collezione Intesa San Paolo.

Concetto Pozzati, 1968

Concetto Pozzati, Cade ancora la Pioggia? 1968, acrilico e applicazioni a specchio su tela - Collezione Intesa San Paolo


Il Percorso espositivo

Vuoi avere un'idea dell'intero percorso espositivo? Più di molte parole possono comunicare le immagini, così la risposta migliore è in questo video di poco più di 100 secondi.

Uno sguardo al percorso espositivo

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La grande varietà delle opere

Uno degli elementi che catturano l'attenzione nel percorrere le sale in cui è stato suddiviso il grande spazio offerto dalla Basilica Palladiana è certamente la varietà, non solo degli stili dei diversi artisti, ma anche dei materiali da cui le opere hanno preso forma.

E' d'obbligo un nuovo riferimento al Futurismo e ai Manifesti di Boccioni, in particolare al Manifesto Tecnico della Scultura Futurista del 1912, dove scriveva che "Lo scultore può utilizzare venti o più materiali diversi in un'unica opera, purché l'emozione plastica lo richieda. Ecco una piccola parte di questa scelta di materiali: vetro, legno, cartone, cemento, crine di cavallo, pelle, tessuto, specchi, luce elettrica, ecc.".

Abbiamo appena parlato degli specchi presenti nelle opere di Concetto Pozzati, che non sono sculture ma tele, ma fin dalle prime sale l'occhio viene catturato da opere orizzontali, come i tappeti natura di Piero Gilardi, del '66-67, prodotti con poliuretano espanso, con i quali l'artista anticipava i temi legati allo sfruttamento delle risorse naturali. O ancora La Natura modulare di Gino Marotta, del 66-71, realizzata con metacrilato, provenienti dalla Galleria Erica Ravenna.

Gino Marotta

Gino Marotta, Natura modulare, 66-71, metacrilato, Galleria Erica Ravenna

Troviamo più avanti l'Uomo seduto di Mario Ceroli, del 1967, realizzato in pino di Russia, proveniente dalla Collezione Francesco Ribuffo, o le sculture di Alik Cavaliere, come Racconto, del 1966 - Collezione Intesa Sanpaolo, ma la lista di tecniche e materiali non si esaurisce qui.

Oggi la cosa può non stupire, ma bisogna sempre contestualizzare le opere nel periodo storico in cui sono state realizzate e negli anni '60, nonostante l'impulso delle avanguardie storiche, i manifesti spazialisti di Lucio Fontana, le esperienze di artisti visionari come Piero Manzoni, la scelta di utilizzare nella produzione artistica materiali come il poliuretano espanso o il metacrilato era certamente coraggiosa.

Non si fatica quindi a comprendere le già citate parole di Alan Jones secondo cui "l'energia dell'arte italiana non aveva paragone in nessun altro paese d'Europa".

La Generazione Beat italiana e l'Antigruppo

Tanta ricchezza in termini di esposizione di opere Pop potrebbe distrarre dal secondo tema sviluppato dalla mostra, quello che vuole approfondire l'esperienza della stagione Beat italiana, a cui invece va prestata la doverosa attenzione. Certo l'esposizione di documenti è meno appariscente e emotivamente coinvolgente delle grandi opere d'arte appese alle pareti o delle sculture, ma testimoniano una storia che merita di essere conosciuta, in particolare dalle nuove generazioni, che da essa possono trarre ispirazione o motivo di riflessione.

Beat italiana

Il vocabolo Beat nasce negli Stati Uniti da un dialogo tra Jack Kerouac e Clellon Holmes nel 1948, diffuso poi al grande pubblico dal "New York Times" solo verso la fine del 1952: nell'uso comune di quegli anni sarà attribuita a un soggetto che ha toccato il fondo del mondo, senza un soldo e un posto dove stare. 

In Italia le tendenze Pop e Beat saranno accomunate da un sentire comune attento ai fermenti sociali, politici, economici e di costume di quegli anni e diventeranno lo specchio delle utopie, delle illusioni e delle speranze di buona parte di quella generazione.

Il messaggio libertario proveniente dagli Stati Uniti verrà immediatamente assimilata a misura della realtà italiana, in quella Torino dei "capelloni" che diverrà la capitale del giovanilismo alternativo: "randagi agnelli angeli fottuti", come sintetizzato dall'illuminante dichiarazione di Gianni De Martino. Una Beat italiana nata dalla protesta, dalla contestazione che sarà quasi immediatamente fagocitata dalla politica, aggregata a quel movimentismo che condurrà, da lì a pochi anni, al Sessantotto e alla stessa contestazione della Beat americana vista come frutto di un paese imperialista.

La Beat italiana si identificherà presto nella sottocultura, nel sottoproletariato, dove giovani quasi analfabeti volevano scrivere poesie. La Beat italiana cercherà di autoprodursi, autodiffondersi, di sopravvivere, distante dalle dorate realtà delle case editrici nazionali impegnate nella pubblicazione degli autori americani.

Per questo motivo, riuscire a esporre in mostra i rarissimi testi di quegli anni, di quelle edizioni con tirature minimali, senza distribuzione, senza diffusione libraria e oramai sparite dal mercato, rappresenta oggi un contributo significativo alla storia di quei fermenti.

A questo si aggiunge la storia dell'Antigruppo siciliano di Nat Scammacca. Nello stesso periodo, passata da poco la metà degli anni sessanta, emerge un'altra realtà seminale della Beat italiana, a Erice, in provincia di Trapani. Una realtà collettivistica guidata dalla figura carismatica di Nat Scammacca che si doterà, fin dagli esordi, di un corposo Manifesto fondativo in 21 punti. La valorizzazione dell'Antigruppo rappresenta un tassello fondamentale per dotare la tendenza Beat italiana di un respiro nazionale fino ad oggi mai considerato. 

Insomma, una mostra che guarda al passato per ricordare a tutti noi, e alle generazioni più giovani in particolare, che libertà di pensiero e libertà di sognare sono valori che appartengono a tutti, e sono qualcosa per cui vale la pena di impegnarsi, per noi e per chi prima di noi ha avuto il coraggio di immaginare un futuro diverso, creando qualcosa che ancora oggi non finisce di stupirci! Continua leggendo la scheda della mostra›.


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Pubblicato il 03/03/2024

Itinerarinellarte.it