Frida Kahlo e Diego Rivera in mostra a Padova

E' stata inaugurata al Centro Culturale Altinate San Gaetano a Padova la mostra curata da Daniela Feretti dedicata Frida Kahlo e Diego Rivera, protagonisti di una delle più travolgenti storie d’amore e di passione dell’intera storia dell’arte.

Chi era Frida Kahlo? Perché cosi tanta gente è affascinata, in ugual misura, dalla sua vita e dalle sue opere?

Ci sono artisti che, per la forza espressiva delle loro opere, il carisma parsonale, le vicende della loro vita godono di notorietà non comune.
Frida Kahlo, amata dal pubblico ininterrottamente da decenni, è certamente un’artista che ha superato gli ambiti ristretti della storia dell’arte.
Le sue opere parlano al pubblico, nel contempo comunicando direttamente con le emozioni e le vite dei singoli. È nota soprattutto per gli straordinari autoritratti in cui la composizione ed i colori raccontano non solo la sua storia, ma anche della condizione femminile e della cultura indigena della sua terra, il Messico. “Dipingo autoritratti perché sono la persona che conosco meglio” diceva Frida. Ognuno trova nelle sue opere qualcosa di sè, del prorio dolore, della propria gioia e della propria forza.
Questa spettacolare mostra è dedicata a lei e al marito, il pittore e muralista Diego Rivera che, pur essendo un gigante dell’arte, non ha mai valicato, al contrario di Frida, il confine che dalla storia dell’arte arriva direttamente al cuore del grande pubblico.
Un’esposizione iconografica, vibrante di immagini e colori, pulsante dell’energia dei due artisti.
Le opere provengono dall’importante collezione privata di Jacques e Natasha Gelman. Unica tappa italiana del tour mondiale, la mostra è un’occasione imperdibile prima che le opere vengano riportate in Messico e vi rimangano per i prossimi anni.
Sono esposte ben 23 opere di Frida Kahlo, 9 di Diego Rivera, fotografie e coloratissimi e prezioni abiti della tradizione tehuantepec che Frida tanto amava indossare.
Opposti in molto, ma uniti dall’amore per l’arte, per la rivoluzione e per la causa comunista. Lui, l’elefante, come lo chiamava Frida, enorme nel corpo e nel talento artisico, muralista, amante degli spazi grandi, delle grandi cause, delle battaglie epiche.
Lei minuta, gracile, la colomba, che lavorara dal suo studio sui suoi autoritratti sia perchè fisicamente incapacitata a fare altrimenti, ma anche per l’iniziale mancanza di fondi che le impedivano di lavorare su dimensioni più grandi o di assumere modelle. La colomba dalla personalità enorme e dall’infinito amore per la vita. “Innamorati di te, della vita, e dopo di chi vuoi”.

Non a caso l’ultima opera di Frida, una natura morta che rappresenta angurie succose, rosse e appetitose, realizzata otto giorni prima di morire, il 13 luglio del 1954, a 47 anni, ci regala un messaggio gioioso e potente, “viva la vida”.

Rivera stesso rimase impressionato dalla grande energia espressiva e totale sincerità formale di Frida. Disse di lei che “esprimeva con franchezza assoluta e in modo tranquillamente feroce, i fatti generali che riguardavano esclusivamente le donne” dimostrando qui il limite dell’uomo del suo tempo, non sapendo cogliere il valore universale di quei fatti generali delle donne e la capacità che Frida aveva di coinvolgere tutta il suo essere nella sua arte, in sè e nell’altro.

Diego era tutto, il mio bambino, il mio amante, il mio universo”.

L’arte di Frida è un’arte incarnata, fisica, nel corpo e del corpo, forse per la sofferenza che aveva conosciuto sin da bambina prima per la poliomielite e poi a causa di un incidente stradale che la segnò per il resto della sua esistenza. Il suo corpo è esibizione, esso stesso opera d’arte che fonda le sue radici nell’arte precolombiana.
Spesso accostata al surrealismo, Frida ha sempre fortemente rifiutato questa etichetta poichè, nelle sue parole “ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni, non fuggo dalla realtà, mi ci immergo”.

A dfferenza di Frida Kahlo, l’arte di Diego Rivera è invece arte estroversa, del mondo, rappresenta temi generali sul messico, la sua storia, i deserti, la natura, la vita quotidiane degli indigeni.

Si dice che Rivera, durante i quattordici anni trascorsi in Europa, fosse passato anche per Padova ed avesse visitato la cappella degli Scrovegni e studiato le opere giottesche, ispirando la sua successiva attività di muralista proprio all’artista italiano. Si veda ad esempio il suo dipinto “la morte del peone”, di chiara ispirazione giottesca. Come per Giotto la sacralità sta in Dio, in Rivera sta nella rivoluzione, nella storia messicana, nelle radici precolombiane, storia gloriosa resa fruibile a tutti, indigeni ed analfabeti, grazie alla rappresentazione nei murales.... leggi il resto dell'articolo»

Questa passione per la cultura precolombiana è condivisa anche da Frida, la cui madre Matilde aveva origini indie. L’artista,non a caso, pur nata nel 1907 collocava la sua nascita nel 1910, anno delle rivoluzione messicana la cui matrice portante era la cultura indigena, perchè, a suo avviso, bisogna pur dare un senso epico alla propria venuta al mondo.

Nutrita e di grande impatto, è anche la sezione dedicata alla fotografia con ritratti realizzati da grandi artisti quali Héctor Garcia, Manuel Álvarez Bravo, Giséle Freund, Martin Munkacsi, Nickolas Muray, Lucienne Bloch, Edward Weston e dalla sua intima amica Lola Alvarez Bravo.
Il padre di Frida, Karl Wilhem Kahlo, ebreo tedesco emigrato in Messico, era un abile fotografo d’architettura. Ella, giovanissima, lo accompagnava nelle sue campagne in giro per il Messico anche per assisterlo poichè era epilettico (e di nuovo torna l’esperienza del corpo).

La familiarità che Frida ebbe fin da dall’infanzia con il mezzo fotografico è evidente sia nella sicurezza con cui costruì la propria immagine personale, sia nel suo linguaggio pittorico:”sapevo che i miei occhi erano il campo di battaglia della mia sofferenza...cominciai a guardare dritto nell’obiettivo, senza indietreggiare, senza sorridere, determinta a dimostrare che avrei combattuto fino alla fine”.

Frida curò la propria immagine dando valore all’abbigliamento “rappresentato”, l’abito tradizionale tehuana, per altro una società di tipo matriarcale, che non serviva più solo a proteggere, coprire e ornare, ma a veicolare un messaggio personale e politico: recuperando elementi locali voleva riappropriarsi della perduta autonomia non solo economica, ma soprattutto culturale del popolo messicano, creando una nuova rappersentazione, realizzando su se stessa un manifesto politico, culturale, ed estetico per diffondere il concetto di mexicanidad, enfatizzando la natura unica e incontaminata del Messico con la valorizzazione dei nativi. i “veri” americani .
È interessante sottolineare il fatto che questa costruzione identitaria aveva anche risvolti pratici: la frammentazione nella composizione degli abiti tradizionali tehuana, permise a Frida di gestire e di manipolare la geometria delle proporzioni del proprio corpo malato.
I colori vivaci dei costumi tehuan riverberano nelle opere sia di Frida Kahlo che di Diego Rivera.

La mostra è curata dalla bravissima Daniela Ferretti, curatrice sensibile e di grande esperieza che ha costruito un percorso di grande impatto visivo ed emotivo.

Per tutte le info sulla fruizione della mostra rimandiamo alla nostra scheda dell'evento.

Pubblicato il 16/02/2023

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