"Oro Bianco.Tre secoli di porcellane Ginori". Una mostra che il Museo Poldi Pezzoli e il Museo Ginori dedica alla storia della Manifattura di Doccia, da Carlo Ginori a Gio Ponti, aperta al pubblico dal 25 ottobre 2023 al 19 febbraio 2024. Tre secoli di porcellane Ginori, di storia della pregiata manifattura e di design che ha segnato la storia dell'arte e del design.
L'esposizione, a cura di Rita Balleri e Oliva Rucellai, rispettivamente conservatrice e capo-conservatrice del Museo Ginori, e di Federica Manoli, collection manager e curatrice della collezione di ceramiche del Museo Poldi Pezzoli, racconta alcuni dei momenti più significativi della storia della manifattura di Sesto Fiorentino attraverso una selezione di opere (circa 60) provenienti, oltre dai musei promotori, da Le Gallerie degli Uffizi di Firenze, dal Museo Civico di Arte Antica - Palazzo Madama di Torino, dalle collezioni dei principi del Liechtenstein e da alcune importanti raccolte private.
«Nella storia romanzesca della porcellana europea, fatta di sfrenate ambizioni principesche, febbrili ricerche e codici tenuti segreti come preziosi tesori, la Manifattura Ginori ha un marcato carattere di unicità e il Museo Poldi Pezzoli è la sede più adatta e prestigiosa per raccontarne la storia. In quanto casa museo è una vera e propria antologia, perché conserva un panorama di epoche, mode e sensibilità differenti. Spiccano nella nostra collezione per qualità e preziosità proprio le porcellane provenienti dalle fabbriche più rinomate e affermate sulla scena del Settecento europeo e tra queste le opere nate nella Manifattura di Doccia, emblema di sperimentazione artistica ed eclettismo» dichiara Alessandra Quarto, Direttore del Museo Poldi Pezzoli.
«In attesa che il Museo Ginori riapra le sue porte, questa mostra è un'occasione preziosa per raccontare la sua straordinaria storia. Una storia che tiene insieme la capacità imprenditoriale del suo visionario fondatore Carlo Ginori (sorta di Adriano Olivetti del Settecento) e l'eccezionale abilità di generazioni di lavoratrici e di lavoratori; la progressiva democratizzazione dell'oro bianco, che dalle tavole dei principi entra in ogni casa italiana, e la crescita culturale e politica di un movimento operaio che proprio alla Ginori vede nascere la Società di Mutuo Soccorso di Sesto Fiorentino e, poi, una stagione di lotte cui partecipò anche don Lorenzo Milani. Sarà appassionante, per i visitatori, scoprire quali forme – altissime, inaspettate, commoventi – abbia assunto, lungo i secoli, un materiale per tutti così consueto come la porcellana» dichiara Tomaso Montanari, Presidente della Fondazione Museo Archivio Richard Ginori della Manifattura di Doccia.
Il desiderio di impadronirsi del segreto di fabbricazione della porcellana all'inizio del XVIII secolo era paragonabile a quello che animava la leggendaria ricerca della pietra filosofale degli alchimisti, da cui la metafora "oro bianco", spesso usata per identificare il più nobile fra i materiali ceramici. Possedere i manufatti delle prime fabbriche europee era segno di distinzione ed eccezionale era il prestigio di chi ne promuoveva la produzione. Tra questi il marchese Carlo Ginori, fondatore dell'impresa ancora oggi attiva e ispiratore del Museo che ne racconta la storia.
Il percorso espositivo, per presentare le fasi salienti della produzione della prestigiosa manifattura, si snoda attraverso quattro sezioni:
1. Le origini: Carlo Ginori e l'oro bianco; l'eleganza nell'apparecchiatura della tavola.
2. La Manifattura Ginori e la scultura in porcellana: opere dall'antico e dal tardo barocco a
Firenze.
3. Eclettismo e gusto per l'esotico.
4. Il Novecento tra arte e industria: Gio Ponti direttore artistico della Richard-Ginori.
La prima sezione sviluppa uno dei temi dominanti nella produzione della Manifattura: sulla scia dell'interesse dei viaggiatori che da tutta Europa intraprendevano il Grand Tour per ammirare i marmi delle collezioni medicee, si sviluppa un gusto per l'antico che Carlo Ginori accoglie e concretizza realizzando riproduzioni in porcellana dei capolavori più celebri conservati nella Tribuna degli Uffizi e in altre raccolte fiorentine e romane, dal Museo Capitolino alle collezioni Vaticane. A testimonianza di questa attenzione verso l'antico, in mostra saranno esposti la Venere de'Medici e le Teste di Adriano e di Nerva, quest'ultima acquistata dallo Stato italiano per il Museo Ginori nel novembre 2020.
Con il passaggio del Granducato di Toscana alla dinastia lorenese, il fondatore della Manifattura Ginori raccoglie l'eredità artistica e culturale dei Medici, acquisendo forme e modelli dalle principali botteghe degli scultori tardo barocchi fiorentini. Raccontano questa fase della Manifattura raffinati accostamenti di sculture in porcellana esposte per la prima volta insieme ai rispettivi archetipi in bronzo come: la Menade danzante messa a confronto con l'Anfitrite in bronzo dello Studiolo di Francesco I de' Medici, il Laocoonte del Museo Poldi Pezzoli con il relativo bronzetto, l'Atlante che regge il globo terrestre dalle gallerie di Palazzo Madama di Torino con Ercole che regge il globo celeste di Ferdinando Tacca, dalle collezioni dei principi del Liechtenstein.
Il percorso giunge al termine con i capolavori del XIX secolo, che avranno il loro culmine nel servizio da tavola su disegno di Gaetano Lodi per il Khedivè Ismail Pasha. Le due ciste conservate al Museo Poldi Pezzoli, dono di Paola Ojetti del 1973, aprono infine all'analisi del periodo della direzione artistica di Gio Ponti, di cui saranno esposte anche lettere autografe con schizzi e istruzioni per l'esecuzione dei suoi progetti. La sezione finale della mostra presenta quindi anche l'occasione per valorizzare la figura del milanese Gio Ponti nel centenario della prima Mostra Biennale delle Arti Decorative Internazionali di Monza, svoltasi nel 1923. Si intende così rendere omaggio a uno dei più importanti architetti e designer del Novecento italiano, che tanto ha fatto anche per la città di Milano, grazie alle grandi opere architettoniche che portano la sua inconfondibile firma.... leggi il resto dell'articolo»
Accompagna la mostra un video in italiano con sottotitoli in inglese, realizzato in collaborazione con Icastica – Arte e Culture della Comunicazione, divisione multimediale del Gruppo Promos, che introdurrà la mostra.
Il progetto di allestimento, affidato allo studio Guicciardini & Magni di Firenze, favorisce la lettura dei confronti e il racconto del percorso stilistico della manifattura attraverso i secoli, accompagnando il visitatore nella scoperta e sottolineando l'importanza della scultura attraverso una esposizione suggestiva delle opere che occupano lo spazio centrale della prima sala.
Completa l'esposizione un volume, edito da Skira, con saggi che delineano le vicende della manifattura Ginori nel contesto europeo della corsa all'"oro bianco", le particolarità della manifattura italiana e i personaggi che ne hanno costruito la storia (Carlo Ginori e i suoi eredi, Augusto Richard, Gio Ponti e altri); glossario, linea del tempo e mappa delle prime manifatture europee corredano i testi. Inoltre il volume presenta un catalogo delle opere in mostra con schede di approfondimento, alcune delle quali contenenti risultati di studi inediti.
Per tutta la durata della mostra saranno organizzate numerose attività collaterali, come visite guidate gratuite e laboratori per tutti i pubblici (adulti, bambini, ragazzi e famiglie). In particolare, i Servizi Educativi del Museo Poldi Pezzoli hanno organizzato diversi percorsi per le scuole di ogni grado.
La mostra è realizzata con il sostegno di: Ico Falk e AFL, il contributo e il patrocinio di Regione Lombardia, Ministero della Cultura, Regione Toscana, Comune di Milano e Comune di Sesto Fiorentino, media partner Grandi Stazioni Retail e ViviMilano.
Sponsor tecnici: ATM, BIG Broker Insurance Group / CiaccioArte, Mitsubishi Electric.
Trasporti: Arterìa.
In collaborazione con: Abbonamento Musei Lombardia, Associazione Amici del Museo Poldi Pezzoli, Associazione Amici di Doccia, Fondazione Cologni mestieri d'arte e Rinascente.
Genesi della mostra, testo di Tomaso Montanari
Presidente. Fondazione Museo Archivio Richard Ginori della Manifattura di Doccia
"La Fondazione Museo Archivio Richard Ginori della Manifattura di Doccia è particolarmente felice di questa occasione di conoscenza del suo patrimonio offerta al pubblico milanese, nazionale e internazionale.
La Fondazione nasce (su proposta di chi scrive, e decisione dell'allora ministro dei Beni culturali Dario Franceschini) dopo l'acquisto, da parte dello Stato, delle straordinarie collezioni che documentano la secolare attività della Manifattura Ginori.
Un grande gruppo della moda aveva allora rilevato lo stabilimento, salvandolo da un complicato fallimento, ma nessuno sembrava interessato al Museo, che pure rappresenta nel modo più alto la storia della porcellana italiana.
Una storia che tiene insieme la visionaria capacità imprenditoriale del fondatore Carlo Ginori (sorta di Adriano Olivetti del Settecento) e l'eccezionale abilità manuale di generazioni di lavoratrici e di lavoratori, una storia che racconta la progressiva democratizzazione dell'oro bianco, che dalle tavole dei principi entra in ogni casa italiana, e la crescita culturale e politica di un movimento operaio che proprio alla Ginori vede nascere la Società di Mutuo Soccorso di Sesto Fiorentino e vede poi una stagione di lotte cui partecipò anche don Lorenzo Milani. L'accordo di valorizzazione firmato nel 2018 fra i tre soci fondatori (Ministero della Cultura, Regione Toscana, Comune di Sesto Fiorentino) prevede che il Museo sia conferito alla Fondazione dopo i necessari, radicali, lavori di restauro che prenderanno finalmente il via nei prossimi mesi.
Nel frattempo, la Fondazione ha inventariato, e quindi trasferito a sue spese in un luogo sicuro, le collezioni che rimanevano, in casse, nel Museo; ha realizzato un sito capace di far conoscere virtualmente al pubblico la ricchezza delle collezioni; ha restituito alla popolazione il godimento del piccolo parco del Museo; ha realizzato una serie di mostre, tra le quali questa, che nasce dall'esperienza dell'ex direttore della Fondazione, Andrea Di Lorenzo, a lungo vicedirettore del Museo Poldi Pezzoli, e dal lavoro di curatela di Oliva Rucellai e Rita Balleri: a loro va la gratitudine della Fondazione, che si estende a tutto lo staff (e qui, in particolare, a Consuelo de Gara, responsabile della comunicazione, e ad Angela Cutuli, per la continua assistenza legale e amministrativa).
La Fondazione è gratissima ai tre soci fondatori, nelle persone del ministro Gennaro Sangiuliano, del presidente Eugenio Giani, del sindaco Lorenzo Falchi.
Ringrazio, infine, in modo particolare il Museo Poldi Pezzoli, nella sua direttrice Alessandra Quarto, che, con questa collaborazione, ha permesso ai milanesi di conoscere la storia della Ginori, che proprio grazie al legame con la milanese Richard, nata dalla Società per la fabbricazione delle porcellane lombarde, raggiunse una dimensione davvero di massa.
Crediamo che sarà appassionante, per il pubblico, scoprire quali forme – altissime, inaspettate, commoventi – abbia assunto, lungo i secoli, un materiale domestico per tutti così consueto come la porcellana: "giacché la materia d'un'arte – ha scritto Henry Focillon – non è affatto un dato fisso, acquisito per sempre: fin dagli inizi esso è trasformazione e novità, poiché l'arte, come un'operazione chimica, elabora, e continua a compiere, metamorfosi".
In una mostra tre secoli di raffinatezza ed eleganza, testo Alessandra Quarto Direttrice
Museo Poldi Pezzoli
"La mostra che si presenta al Museo Poldi Pezzoli nasce dalla collaborazione con il Museo Ginori di Sesto Fiorentino, chiuso dal 2014 e acquisito al patrimonio dello Stato nel 2017. Due istituzioni con una storia importante si legano e danno vita a un progetto scientifico che ne celebra le collezioni, la storia e i valori, per diffondere la conoscenza e approfondire gli studi in corso.
Da sempre il Museo Poldi Pezzoli, nella programmazione delle mostre, sceglie di ospitare e organizzare esposizioni che abbiano principalmente l'obiettivo di promuovere la collezione permanente. Un patrimonio che oggi conta oltre seimila oggetti che spaziano dalla pittura alle porcellane, dai vetri alle sculture, dalle oreficerie agli arredi, dagli orologi ai tessuti, in linea con lo spirito enciclopedico che caratterizzava il collezionismo ottocentesco. Per ciascuna raccolta il Museo conserva assoluti capolavori, considerati dalla letteratura critica tra i più importanti a livello mondiale.
Una collezione che testimonia una straordinaria storia di collezionismo privato che diviene patrimonio pubblico. La casa museo è una vera e propria antologia: racconti di epoche, di mode, di sensibilità differenti che alla fine sono narrazioni delle nostre radici, e come tali indispensabili per capire come costruire il nostro futuro. Una storia e una collezione che ci permettono di riallacciare il passato al presente, attraverso una conoscenza vera e libera, nel cuore della nostra città.
Allo stesso modo, il Museo Ginori nasce con la Manifattura delle porcellane di Doccia, creata dal marchese Carlo Ginori nel 1737, per esporre il meglio della produzione che, grazie alla vivacità culturale del fondatore, incontra per la prima volta la grande storia dell'arte italiana.
Infatti, nella storia romanzesca della porcellana europea, fatta di sfrenate ambizioni principesche, febbrili ricerche e codici tenuti segreti come preziosi tesori, la Manifattura Ginori ha un marcato carattere di unicità. E questo grazie alle straordinarie doti d'intraprendenza e curiosità del marchese Carlo. È suo il merito di aver introdotto in Toscana l'arte della porcellana a pasta dura, ma è soprattutto con lui che prende avvio un nuovo capitolo della storia della scultura fiorentina. Con uno slancio innovativo, Ginori rifiuta la creazione monotona di eleganti minuterie d'uso corrente, trovando nell'arte uno splendido terreno di sperimentazione che indirizza la sua impresa verso l'esecuzione di sculture in porcellana, equivalenti delle grandi statue del passato. Sulle ceneri delle manifatture medicee inizia così una florida produzione di oggetti d'arte, che unisce la tradizione delle copie dall'antico, per studio o per collezione, alla scelta di una formula estetica di recente acquisizione. Immagini tratte dalla memoria di statue già scolpite si trasformano in porcellane di naturale gentilezza e finissimo candore: vere e proprie sculture, statue, figure riferibili a quell'altissima tradizione che, da Donatello a Michelangelo, da Giambologna ai maestri del Barocco, metteva al centro la scultura. È una straordinaria storia dell'arte, ma anche storia sociale fatta di lavoro, scioperi e di una grande comunità, quella di Sesto Fiorentino, che è indissolubilmente legata alla vita del Museo.
Ecco, la mostra vuole raccontare e far conoscere, attraverso la produzione artistica della Manifattura, la storia di queste collezioni: quella del Poldi Pezzoli e del Museo Ginori, promuovendone lo straordinario valore culturale e artistico.
Il progetto scientifico intende raccontare al grande pubblico la vita della Manifattura a partire dalla figura di Carlo Ginori fino alla produzione degli anni in cui Gio Ponti ne era direttore artistico, attraverso un percorso che sviluppa alcuni temi dominanti nella produzione della Manifattura nel periodo che va dal XVIII al XX secolo: il gusto antiquario, l'eredità medicea e la tradizione scultorea fiorentina, il gusto ottocentesco e la direzione artistica di Ponti.
Il Poldi Pezzoli è quindi la sede più adatta e prestigiosa per ospitare questa esposizione perché custodisce raccolte di opere di arte applicata di rilevanza internazionale: tra queste spicca per qualità e preziosità dei pezzi la collezione di porcellane provenienti da diverse fabbriche europee, da Sèvres a Wedgwood, da Berlino a Strasburgo, a Vienna. Si tratta delle manifatture più affermate e rinomate sulla scena del Settecento europeo. La collezione è ricca ed eterogenea, composta da terraglie, porcellane e maioliche.
La maggior parte delle ceramiche era già proprietà della famiglia Poldi Pezzoli prima della costituzione della Fondazione Artistica e dell'apertura al pubblico, avvenuta nel 1881.
Nel 1880 Giuseppe Bertini, primo direttore del Museo, aveva allestito una grande vetrina aperta su due lati che divideva la Sala Gialla (oggi Sala degli Stucchi) dal Salone dorato. In questa vetrina ancora oggi è esposta la maggior parte delle ceramiche della collezione, secondo quel criterio adottato dal Bertini, di collocare tantissimi oggetti in uno spazio ridotto. Il nucleo più consistente è, sicuramente, quello delle porcellane di Meissen, che comprende servizi da tavola, servizi da tè e caffè, statuette e oggetti vari databili dal 1720 alla fine del XIX secolo.
La produzione italiana, invece, riguarda soprattutto Doccia e Capodimonte che rappresentano due momenti molto interessanti nella storia dell'arte e del gusto italiano del XVIII secolo e offrono un esempio della perizia tecnica raggiunta dalle nostre fabbriche, divenute degne concorrenti della migliore produzione europea. La Manifattura toscana è rappresentata al Poldi da tazzine con decorazione a bassorilievo bianche e policrome e da alcune statuine, realizzate proprio nel fervore di quegli anni di intensa attività, anche sperimentale, finalizzata a lanciare il nome della Manifattura e a costituirne il prestigio, grazie alla vivacità culturale del marchese Ginori.
A questi preziosi oggetti si aggiunge nel 1973, come dono della giornalista Paola Ojetti, una coppia di ciste in porcellana dura, di forma cilindrica con coperchio leggermente convesso della Manifattura di Doccia, disegnate dall'architetto Gio Ponti nel 1926 e modellate dallo scultore Libero Andreotti nel 1927. Gio Ponti era all'epoca direttore artistico della Richard-Ginori e aveva ideato il modello della cista per la Biennale di arti decorative di Monza e l'Esposizione di Parigi del 1925.
Infine nel 2015, con la donazione di Elena Giulini, discendente di Augusto Richard che nel 1896 acquisì lo stabilimento di Doccia, arrivano al Museo il Vaso da pot-pourri in porcellana bianca e lo straordinario gruppo in porcellana "masso bastardo" raffigurante Laocoonte, datati 1750 circa.
L'impulso del Grand Tour, che portò viaggiatori da tutta Europa ad ammirare gli splendidi marmi antichi conservati nelle collezioni medicee, contribuì a rendere unica la produzione di Ginori che, intorno al 1747, diede inizio alla raccolta di calchi in gesso rivolgendo la sua attenzione prima alla Galleria degli Uffizi e successivamente (dal 1753 circa) alla statuaria nelle collezioni romane. La determinazione con la quale acquisì i calchi, destinati a divenire modelli per la Manifattura di Doccia, è rivelata dall'immediatezza con cui dispose che essi fossero tradotti in porcellana. In mostra sono esposti la Venere de' Medici, la Menade, la Testa di Adriano e la Testa di Nerva.
Il repertorio dei modelli scultorei viene rielaborato dalle maestranze della Manifattura per adattarlo alle esigenze tecniche del nuovo materiale; operazione ben visibile nei raffinati confronti dei pezzi esposti in mostra. L'allestimento, progettato dallo studio di architettura Guicciardini e Magni, favorisce la lettura dei confronti e il racconto del percorso stilistico della Manifattura attraverso i secoli, accompagnando il visitatore nella scoperta e sottolineando l'importanza della scultura attraverso un'esposizione scenografica delle opere che occupano lo spazio centrale della prima sala.
Protagonista assoluta della mostra è la porcellana, regina del XVIII secolo, che incarna perfettamente il suo tempo attraverso la delicatezza della materia, la minuzia e la virtuosità della lavorazione, la fine armonia dei colori ma anche la resistenza che, a dispetto della sua fragilità, ci ha consegnato uno straordinario patrimonio. Ecco che la mostra celebra proprio il valore di questo patrimonio attraverso la selezione degli oggetti più importanti della collezione del Museo Poldi Pezzoli e del Museo Ginori, insieme ad altre opere provenienti dalle Gallerie degli Uffizi, dal Palazzo Madama di Torino, dal Museo Nazionale del Liechtenstein a Vienna e da alcune prestigiose collezioni private. Una mostra in grado di dialogare sia con gli specialisti sia con i profani, realizzata da un comitato scientifico internazionale, che si offre come momento della conoscenza, capace di istruire, di stimolare, di commuovere, di generare civiltà. Per aiutare a tutelare il nostro patrimonio non abbiamo che un'arma: la conoscenza. La mission del Museo è proprio quella di far comprendere a tutti il valore della nostra cultura.
Questa mostra è stata realizzata grazie al lavoro sinergico delle due istituzioni e alla grande passione e professionalità del personale del Museo che ho l'onore di dirigere, a cui va tutta la mia gratitudine."
Un architetto al servizio dell'industria: Gio Ponti e la Richard-Ginori (Oliva Rucellai)
Quando Giuseppe Benassai e Urbano Lucchesi, principali direttori artistici della Ginori di fine Ottocento, fornivano alla fabbrica i loro disegni e modelli, ne seguivano la perfetta esecuzione, ma poco si curavano delle logiche industriali e tanto meno della vita del prodotto una volta uscito dalla fornace, della sua promozione e della sua distribuzione. Al lombardo Luigi Tazzini, giunto a Doccia con la gestione Richard, è attribuito il rinnovamento della produzione in stile liberty, tuttavia non abbiamo neanche un oggetto che rechi la sua firma e la mancanza di documentazione rende assai indefiniti i contorni del suo contributo autoriale. Nessuno insomma, prima di Gio Ponti – che pure era alle prime armi – aveva interpretato (e interpreterà) il ruolo di direttore artistico della Richard-Ginori coniugando così magistralmente un poderoso talento creativo con l'attitudine progettuale di un moderno designer. Nessuno si era tanto speso per tenere in pari considerazione le ragioni dello stile, le ragioni produttive dell'industria e la diffusione sul mercato. Inoltre, evidentemente, tale era la consapevolezza dell'importanza del proprio lavoro, che fin dall'inizio egli ottiene di far apporre la sua firma sulle sue creazioni.
Forme e decori
Ponti inizia a collaborare con lo stabilimento Richard-Ginori di San Cristoforo intorno al 1922, ma esordisce come direttore artistico nel 1923, alla prima esposizione biennale di arti decorative di Monza, riscuotendo da subito notevoli consensi da parte dei critici. I suoi decori sono moderni, ma spesso traggono ispirazione da fonti antiche. Protagoniste sono silhouettes stilizzate in movimento, vibranti di un'elegante vena umoristica; ma anche motivi geometrici, semplici superfici scandite da elementi architettonici o da intrecci, griglie ortogonali e fasce sovrapposte, in forte contrasto cromatico. Con la stessa leggerezza e ironia, ed esigendo sempre il massimo della qualità, inventa serie come la Conversazione classica o Le mie donne, dipinte tutte a mano su maiolica, oppure Labirintesco, Circo e Fantini, che si prestano invece all'esecuzione a decalcomania e sono adattabili a piccoli oggetti, posaceneri o portasigarette, alla portata di un più vasto ceto borghese. Per arricchire l'offerta di oggetti d'arredo e articoli da regalo sviluppa tipologie nuove, con un'utilità pratica oltre che decorativa, come basi per lampada, fermalibri, vasi da burro, vasetti per cactus, o ne recupera altri caduti in disuso, come la geliera, che rivisita per Doccia partendo da modelli del Settecento, o ancora il surtout da dessert, reinventato per il Ministero degli Esteri. Predilige volumi essenziali – come il cilindro, il cono, il semisferico "bolo" – e forme chiuse, dalle grandi ciste alle più piccole bomboniere, passando per urne, barattoli e calamai che paiono edifici in miniatura. Raffinate prese plastiche ornano di saporosi accenti figurativi i coperchi e i profili nitidi dei contenitori.
Le sculture
La produzione di sculture in ceramica, dai piccoli fermacarte alla statuaria da tavolo di maggiori dimensioni, anche se minoritaria nell'insieme del suo catalogo, è curata da Ponti con grande attenzione. Pensata per essere riproducibile in serie a costi relativamente contenuti, è il veicolo ideale per realizzare quell'idea di "arte nella casa" che è sottesa alla sua futura direzione della rivista "Domus": un'arte moderna accessibile anche a chi non potrebbe permettersi un pezzo unico in bronzo o in marmo, ma riconosce il beneficio che le opere – sia pur "d'arte decorativa" – recano all'abitare. Nella maggior parte dei casi Ponti si rivolge ad artisti esterni a cui fornisce i disegni da tradurre in modelli plastici. Soggetti come L'Ospitalità e La Letizia, Il pellegrino stanco e L'uva della terra promessa nascono come decori per poi diventare sculture. A San Cristoforo collabora soprattutto con Salvatore Saponaro e per Doccia si avvale di allievi dell'amico Libero Andreotti8, di Geminiano Cibau per Il Poeta e Il Maestro di Danze, e dal 1926 soprattutto di Italo Griselli, lo scultore con cui instaura la collaborazione più duratura. Non mancano tuttavia esempi di modelli di invenzione altrui, come alcune opere di Carlo Lorenzetti, Édouard Sandoz e del giovane Fausto Melotti, che vengono inseriti nella linea delle ceramiche moderne d'arte con la sua supervisione.
La diffusione sul mercato
Ponti progetta sempre tenendo presente l'intero iter del prodotto, dal disegno alla vendita, attento alle necessità produttive quanto alle esigenze del cliente finale. Il suo non è un esercizio di creatività fine a se stessa o all'affermazione della sua personalità, ma arte al servizio dell'industria. Una naturale predisposizione lo porta a preoccuparsi di tutto ciò che riguarda l'identità del marchio Richard-Ginori, disegnando, oltre a forme e decori, anche le confezioni, i cataloghi, le marche da porre sotto ai manufatti e proponendo persino i canali di distribuzione più adatti ai vari prodotti. Non disdegna di svolgere funzioni che sarebbero di competenza di un ufficio stampa, tiene i rapporti con i giornalisti più autorevoli e cura le campagne fotografiche. Per coprire le diverse fasce di mercato per la prima volta organizza e coordina la linea delle "ceramiche d'arte" sui tre stabilimenti di Doccia, San Cristoforo e Mondovì, che fino ad allora erano stati gestiti in modo indipendente dai rispettivi direttori. Affronta così la complessità della Richard-Ginori creando un sistema organico che valorizza le specificità delle diverse tipologie ceramiche, come se fossero diversi registri stilistici del suo personale linguaggio, sempre coerente e contemporaneo: più aulico e prezioso per le porcellane e le maioliche di Doccia, ricercato, ma informale per la terraglia forte industriale di San Cristoforo, rustico e vivace per la terraglia tenera di Mondovì.
Tecniche tradizionali e nuove sperimentazioni
A Doccia Ponti riesce a infondere nuova vita nelle tecniche tradizionali più raffinate, come la pittura su maiolica, alla quale attribuisce un ruolo fondamentale, e l'oro segnato a punta d'agata. Quest'ultima è la specialità di Elena Diana. La decoratrice viene assunta nel 1924 e diventa in poco tempo una virtuosa del genere. La sua presenza stimola Ponti a ideare, a partire dal 1926 circa, molti decori interamente realizzati con tale tecnica, che aveva raggiunto vette di eccellenza nel periodo Impero con gli ampi fregi delle porcellane di Vienna e di Sèvres. Alla Biennale monzese del 1927 Elena Diana è citata nel catalogo ufficiale della mostra come autrice di alcune placchette, un riconoscimento che non era stato mai concesso ad alcuna decoratrice prima di lei. Il confronto con le produzioni concorrenti, italiane e straniere, richiedeva però innovazione costante, non solo attraverso i disegni tracciati su carta dalla matita dell'architetto, ma anche tramite la ricerca su impasti, smalti e soluzioni espressive proprie alla materia ceramica e alla finitura delle superfici. Nel 1927, ad esempio, Ponti presenta a Monza una serie di maioliche con un inedito smalto turchese opaco14 e con l'orcio Circo equestre sperimenta rilievi smaltati "su fondo naturale". Negli anni seguenti indirizza i tecnici dello stabilimento di Doccia verso la ricerca di nuovi effetti come le maioliche graffite, il "gran rosso", il biscuit grigio e oro e il celadon.
Il rapporto con Ojetti
Il talento e la portata innovativa del lavoro di Gio Ponti per la Richard-Ginori vengono riconosciuti fin dal 1923 da voci autorevoli come Roberto Papini, Margherita Sarfatti e Antonio Maraini, che ne scrivono in occasione della prima Biennale di Monza e negli anni seguenti. Tra questi estimatori il più influente è Ugo Ojetti, critico, giornalista e scrittore, che Ponti, nei suoi anni alla Richard-Ginori, considera come un maestro al quale chiedere aiuto e consiglio. A sua volta Ojetti lo incoraggia e lo sprona a impegnarsi a beneficio delle industrie artistiche italiane. È, ad esempio, per interessamento di Ojetti che nel 1925, dopo aver vinto il Grand Prix all'Expo di Parigi, l'architetto riceve il prestigioso incarico di scrivere una relazione ufficiale sulle ceramiche ivi esposte, che serva di indirizzo per la futura affermazione delle manifatture italiane. Ponti si reca a Parigi apposta per assolvere al compito, nonostante qualche titubanza: "Pietà, Ojetti, mi faccia dividere con qualcun altro la responsabilità di servir d'esempio al peccator decorativo" e sottopone il testo alla revisione di Ojetti, prima di consegnarlo all'editore. Negli stessi giorni Ugo e la moglie Fernanda ordinano le due ciste oggi conservate al Museo Poldi Pezzoli. Il volume contenente il testo verrà pubblicato solo alla fine del 1928 con sorprendente ritardo e tiratura limitata (a giudicare dalla sua rarità). Se dunque la relazione non potè avere l'impatto auspicato da Ojetti, resta un documento illuminante per comprendere la visione maturata da Ponti nei suoi primi anni di esperienza come direttore artistico della Richard-Ginori. Inoltre quel primo cimento con la scrittura contribuì forse a far scoprire a Ponti quella vocazione per la promozione dell'arte e l'educazione al gusto che alimenterà per tutta la vita la sua intensa attività pubblicistica.
Il graduale distacco
I successi del 1925 favoriscono il moltiplicarsi degli impegni di Ponti: la progettazione di edifici, il coinvolgimento nell'organizzazione delle mostre di Monza del 1927 e 1930 e di Milano nel 1933, la fondazione della rivista "Domus", suggeritagli dallo stesso Ojetti. Fatalmente l'assiduità del suo lavoro alla Richard- Ginori tende a diminuire, soprattutto a Doccia, dove dal 1928 arriva, ad affiancare Luigi Tazzini, Alfred Brown, sul quale Ponti darà qualche anno dopo un giudizio non troppo lusinghiero. Il distacco si avverte soprattutto dopo il 1930, forse motivato anche dalla morte del presidente Augusto Richard, che per primo aveva dato fiducia all'architetto. Il 30 giugno del 1931 Ponti commenta con amarezza: "come Lei ha capito, le cose a Doccia non le posso condurre come vorrei e come sarebbe bene, ed esercito la pazienza in luogo dell'intelligenza". Dalla corrispondenza con gli Ojetti si evince che anche i rapporti con la dirigenza milanese della Richard-Ginori non sono sereni. Non a caso il suo lavoro più significativo dell'ultimo periodo è realizzato a San Cristoforo su commissione dell'architetto Mezzanotte. Ponti ne scrive entusiasta a Fernanda Ojetti nell'agosto del 1931: "Per la borsa di Milano (sotterranei: nel ristorante) disegno delle figure alte due e cinquanta e mi appassiono moltissimo". Per il resto si affida molto al suo "caro e fedele collaboratore Giovanni Gariboldi" che dal 1926 lo assiste nello stabilimento milanese e a cui si deve probabilmente la maggior parte dei disegni dei primi anni trenta. È ancora dalla corrispondenza con gli Ojetti che apprendiamo delle sue dimissioni, presentate alla vigilia della V Triennale di Milano, nell'aprile del 1933. Vi saranno in seguito altre episodiche collaborazioni, ma si conclude così la direzione artistica che fino a oggi ha segnato più profondamente la storia della Richard-Ginori e che per Ponti ha rappresentato oltre che il fortunato esordio di una lunga e brillante carriera un fondamentale apprendistato nel mondo dell'industria e della ceramica.
Una storia di gentiluomini: il collezionismo della porcellana dalle origini a Gian Giacomo Poldi Pezzoli (Federica Manoli, Luca Melegati Strada)
Il viaggio del collezionismo della porcellana in Europa inizia, e non potrebbe essere diversamente, dall'Oriente. La Cina e il Giappone sono la patria di quest'affascinante materiale: e il misterioso Catai resta, per le élites uscite dal Medioevo, la sorgente di ogni esotica eleganza. Le collezioni delle grandi famiglie principesche di tutta Europa comprendono vasi, tazze e frammenti di porcellana cinese e orientale, spesso elegantemente montati in metallo e destinati non solo alla decorazione della tavola ma anche all'arredo di quelle Wunderkammern che resteranno per lungo tempo una vera passione collezionistica. Tra i molti esempi noti, limitiamoci qui alle collezioni dei Medici di Firenze, dove i materiali orientali rappresentano un elemento importante delle raccolte di famiglia ancor prima di Lorenzo: certamente presenti nelle collezioni del Magnifico, esemplari di ceramiche orientali erano probabilmente nella raccolta di Piero il Gottoso (1416- 1469), che aveva allestito una sorta di Wunderkammer nell'attuale palazzo Medici Riccardi di via Larga. O ancora ricordiamo Augusto II detto il Forte (1670-1733), Elettore di Sassonia e re di Polonia: un collezionista appassionato e insaziabile che nello scorcio del Seicento raccoglie magnifiche porcellane orientali destinate a decorare le sale dei suoi palazzi (e naturalmente a costituire il prototipo ineludibile per le produzioni della neonata Manifattura di Meissen). Una passione, questa, che Augusto II condivideva con altri principi del tempo, come Luigi Enrico di Borbone, principe di Condé (1692-1740). Come è noto il Borbone, mentre va raccogliendo tra il 1730 e il 1740 una importante collezione di porcellane in stile Kakiemon, una decorazione nata in Giappone a partire probabilmente dall'inizio del Seicento, si fa patrocinatore tra l'altro della Manifattura di Chantilly, dove non a caso i decori giapponesi avranno un ruolo tutt'altro che secondario3. Non è questo il luogo per ripercorrere il complesso sviluppo del collezionismo principesco di porcellana sino alla fine dell'Ancien Régime. Ma per quel che riguarda la nostra dinastia nazionale, i Savoia, basterà ricordare come le porcellane costituissero un elemento di arredo di primaria importanza in un generale progetto di modernizzazione e abbellimento delle residenze del sovrano, soprattutto dopo la conquista nel 1720 della corona reale sarda: un argomento affrontato in modo organico tra gli altri nel catalogo della mostra del 1986 dedicata alle collezioni reali oggi a Torino, primo di una serie di studi sull'argomento. Certamente con il XVIII secolo il collezionismo di porcellane tende ad assumere un aspetto più pratico: la porcellana, ormai realizzata in gran parte d'Europa (anche se faticherà a soppiantare, certamente nell'aspetto collezionistico, la produzione orientale e non ci riuscirà mai del tutto) diventa sempre più materiale d'uso, per quanto elegantissimo e costoso, utilizzato per servizi da tavola, figure destinate ai centritavola, i cosiddetti "surtù", oggetti di arredo, galanterie e quant'altro. Le porcellane sono il nuovo status symbol, amato dalle corti e dai potenti di tutta Europa, una rilevanza esemplificata dall'abitudine di utilizzare, come doni diplomatici o per scambi tra le varie famiglie regnanti, servizi di porcellana.
Un argomento, questo, assai studiato e che è stato recentemente ripreso in occasione della mostra dedicata alle collezioni di porcellane della corte di Parma e alla personalità di Luisa Elisabetta (1727-1759), figlia di Luigi XV e moglie del duca di Parma Filippo di Borbone (1720-1765). Sono gli anni nei quali le grandi manifatture europee, prime fra tutte Meissen, Sèvres e Doccia, ricevono commissioni dalle élites del tempo, siano sovrani, principi e aristocratici o semplicemente membri della nuova borghesia emergente. Questa passione continuerà vivissima ben dentro l'Ottocento, e sotto Napoleone I i doni e gli acquisti in porcellana restano un uso della corte imperiale così come era stato ai tempi dei Luigi. Ma negli anni turbolenti della Rivoluzione francese e dell'Impero, questa passione per la porcellana prende un aspetto nuovo: complici le grandi vendite organizzate in Inghilterra e in Francia per disperdere gli arredi dei palazzi reali e delle residenze degli emigrati e dei sovrani detronizzati ci-devant, appare un nuovo genere di collezionismo che ha, almeno in una prima fase, un'impronta del tutto anglosassone. La grande disponibilità di magnifiche porcellane sul mercato (e qui inizia, sia detto per inciso, uno dei momenti gloriosi delle case d'aste inglesi) stimola una passione che pervaderà tutta la società del tempo. All'inizio sono personaggi come Giorgio del Galles (1738-1820), il futuro principe reggente, quindi, dal 1820, Giorgio IV d'Inghilterra, a comprare in maniera quasi bulimica i sofisticati arredi che la Rivoluzione ha reso disponibili. Poi è la volta dei ceti emergenti, di quella classe che nell'Ottocento raggiunge grandi e nuove ricchezze, ricchezze pronte a essere indirizzate verso un gusto collezionistico sofisticato e visto come elemento ineludibile del riconoscimento sociale. Una moda che vede nel Settecento prerivoluzionario (e nelle sue porcellane) la pietra di paragone di ogni eleganza: i più grandi di questi nuovi ricchi, per gusto e per averi, sono i celebri banchieri Rothschild, che nelle residenze distribuite tra Austria, Italia, Francia e Inghilterra e possedute dai vari rami della famiglia si dedicano quasi senza eccezione a un collezionismo così sofisticato e di tale importanza da essere definito il "gusto Rothschild" per antonomasia. Questo "gusto Rothschild" prescrive di riunire collezioni di opere emblematiche di un Settecento opulento come lo si immagina a distanza di mezzo secolo, e che siano compatibili con il train de vie fastoso delle classi alte ottocentesche e con la grande preparazione culturale dei loro esponenti. Un gusto che peraltro non rinuncia all'utilizzo di copie, se queste si rendono necessarie per completare l'arredamento di un salotto o di una sala di ricevimento: in questo caso non si esita, e i Rothschild lo faranno per primi in maniera ricorrente, a ordinare perfette repliche di arredi antichi in modo da creare coppie meglio inseribili nell'arredamento. L'Ottocento vede poi altre novità destinate ad avere un impatto non trascurabile sul collezionismo delle ceramiche e delle porcellane antiche: le grandi esposizioni internazionali, per esempio, a partire da quella londinese nel 1851 fortemente voluta dal principe Alberto, consorte della regina Vittoria. Questi appuntamenti non solo accendono l'attenzione del pubblico sulle copie magnificamente realizzate dai laboratori ceramici contemporanei, ma stimolano il desiderio di possederne gli originali. E poi i nazionalismi nascenti in tutta Europa, che spingono le élites di ogni paese a ricreare ambienti dal forte sentimento patriottico, ambienti che riproponessero, con la maggior fedeltà possibile, se non la realtà storica certo il passato glorioso di ogni popolo, e dove le ceramiche hanno un ruolo tutt'altro che secondario. A Milano i nomi sono quelli dei Bagatti Valsecchi e, lo vedremo, di Poldi Pezzoli: anche nella nostra città il collezionismo di ceramiche, si tratti di materiali arcaici come di maioliche o porcellane, insegue un'ideale di ricerca delle proprie radici in un più ampio respiro europeo, un tratto particolarmente evidente nel caso di Gian Giacomo Poldi Pezzoli (1822- 1879), che appare sempre guidato nelle sue scelte dalla ricerca di una qualità tutt'affatto particolare. E infatti le porcellane costituiscono un nucleo di notevole interesse nelle raccolte del gentiluomo milanese. Alla sua morte, quelle da lui raccolte erano circa duecento su un totale di oltre duemila pezzi collezionati e comprendenti dipinti, sculture, armi e armature, oreficerie, orologi, vetri, tessili e ceramiche (reperti archeologici, terraglie e maioliche oltre alle porcellane): oggetti che ripercorrevano nell'insieme un arco cronologico di 2500 anni circa, dal VII secolo a.C. al XIX. Tutto questo era disposto secondo un preciso criterio nell'appartamento "particolare" che don Giacomo occupava all'interno del palazzo di famiglia. Il suo progetto, probabilmente sviluppatosi nel corso del tempo, rispondeva alla volontà di formare un compendio della produzione artistica del passato attraverso pezzi rappresentativi di ogni epoca, da esporre in ambienti storicisti secondo la tendenza diffusa in Europa all'epoca della costituzione degli stati nazionali e della quale si è detto. Una delle fonti di ispirazione per Gian Giacomo potrebbe essere stata la casa parigina in stile neomedievale del collezionista Alexandre du Sommerard (1779-1842), che deve aver visitato negli anni dell'esilio. Pittori, scultori, ebanisti e bronzisti si alternavano per costruire e decorare l'armeria gotica, lo studiolo medievale dedicato a Dante, le sale rinascimentali e barocche incastonando pezzi originali negli ambienti "in stile". Per Gian Giacomo l'allestimento dell'appartamento era parte integrante del progetto collezionistico al quale destinava una somma annuale equamente suddivisa tra l'acquisto di nuove opere e la decorazione degli ambienti che dovevano accoglierle, come documentato dalla "cassa mia particolare", quaderno in cui annotava le spese. Da questo documento non è sempre possibile identificare le opere acquisite e purtroppo Gian Giacomo, straordinario collezionista noto in tutta Europa, non ha lasciato altre riflessioni o annotazioni scritte relative alle sue scelte rendendo molto difficile la ricostruzione della genesi della sua collezione e dello scrigno destinato a custodirla. Le disposizioni testamentarie relative al futuro della sua opera collezionistica sono invece estremamente chiare e dettagliate: indicano la volontà di costituire una fondazione artistica a uso e beneficio pubblico in perpetuo, che dota di un vitalizio annuo di ottomila lire per i restauri, le spese di gestione e nuove acquisizioni di "opere antiche e moderne". Nel 1881, due anni dopo la sua scomparsa, il Museo Poldi Pezzoli verrà aperto al pubblico dal primo direttore, Giuseppe Bertini, amico e consulente storico del Poldi Pezzoli. La collezione di porcellane di Gian Giacomo si presentava ricca ed eterogenea, composta da manufatti di produzione orientale ed europea a testimonianza della sua volontà di raccogliere esemplari di elevata qualità artistica e tecnica di ogni manifattura. Le origini di questa raccolta si legano al padre, Giuseppe Poldi Pezzoli, che nel primo ventennio del XIX secolo aveva acquistato oggetti ceramici presso mercanti milanesi sulla scia della moda del tempo. Gian Giacomo continuerà l'iniziativa paterna acquisendonumerosi pezzi di provenienza orientale ed europea, prediligendo la produzione di Meissen. Dall'inventario giudiziale stilato dopo la morte (e compilato secondo un ordine topografico) si apprende che Gian Giacomo amava attorniarsi delle sue porcellane, distribuite nelle diverse sale appoggiate su mobili e consoles o affollate all'interno di vetrine. Nella Sala degli Stucchi, la seconda dall'ingresso, aveva sistemato una parte dei grandi vasi cinesi (ben otto) del XVIII e XIX secolo e le due "vasche da pesci" (tuttora esposte) del Settecento guarnite, secondo il gusto storicistico, con draghi alati in bronzo realizzati da Giuseppe Speluzzi (1827-1890). Un altro pastiche di Speluzzi è la lampada "moderateur" composta da un vaso cinese del XVIII secolo con farfalle e fiori su fondo blu, adattato alla funzione di lume e impreziosito dall'artista con un drago e guarniture in bronzo cesellato, argentato e dorato in stile orientale. La lampada si trovava nella Sala nera attigua alla Sala degli Stucchi con altre porcellane: una coppia di figure cinesi rappresentanti i geni dell'Unione e dell'Armonia (1662-1722) due vasi con montatura metallica del periodo Edo del XIX secolo e il gruppo equestre in porcellana di Meissen raffigurante Augusto il Forte, Elettore di Sassonia. Ancora porcellane cinesi si trovavano nella camera da letto: la coppia di gru in biscuit smaltato del XVIII secolo e altri cinque vasi biansati con invetriatura craquelée e guarniture metalliche del XIX secolo, mentre una fontana parietale in porcellana di era Kangxi (1662-1722) si trovava nell'attigua stanza da bagno. Le porcellane di dimensioni più contenute erano conservate invece nelle vetrine dello Studiolo dantesco. In questo luogo, che ha mantenuto buona parte della decorazione ottocentesca18, il collezionista teneva le figure di Meissen e di Capodimonte, i servizi da caffè e da tè prodotti dalle manifatture di Vienna, Meissen, Wedgwood, Sèvres, Doccia, Capodimonte e cinesi. Ancora oggi buona parte di questi oggetti è esposta nella medesima sala. Tra essi meritano di essere citati la tazzina con piattino di Capodimonte recanti la marca di fabbrica con il giglio borbonico in oro (segno di qualità), la cui decorazione con scene di battaglia, attribuita a Giovanni Caselli (1688-1752), capo decoratore della Manifattura tra il 1743 e il 1752, è tratta da opere di Antonio Tempesta19: l'utilizzo di fonti grafiche di rilievo come modello per la produzione fu d'altronde una prassi consolidata nelle manifatture di porcellana settecentesche. Poldi Pezzoli teneva nello studiolo, la sua Wunderkammer, insieme alla collezione di vetri antichi, a quella di oreficerie, a una parte dei reperti archeologici, al nautilus e ai metalli islamici, anche il servizio da tè e caffè "Borromeo". Ciascuno dei trentuno pezzi del servizio riporta il monogramma del re Augusto III di Polonia dipinto in oro accanto alla marca di fabbrica, le armi della famiglia Borromeo e l'emblema dell'Ordine polacco dell'Aquila Bianca del quale fu insignito Federico VI Borromeo nel 1736. I servizi da tavola, tra i quali si distingue quello di Meissen a "fiori indiani", così chiamato per il decoro floreale in uso tra il 1740 e il 1745, si trovavano all'interno di armadi e credenze in attesa di essere disposti nella vetrina a soffitto con doppia luce realizzata da Bertini, che tuttora raccorda la Sala degli Stucchi con il Salone dorato, la cui decorazione in stile neorinascimentale non era ancora terminata alla morte di Poldi Pezzoli. La raccolta di porcellane che ci ha lasciato Gian Giacomo presentava un'organicità, così come quelle di dipinti, di armi, di armature e di gioielli, a differenza di altre sezioni, come quelle degli orologi, dei vetri e dei tessili, costituite da pochi preziosi pezzi, che sono state accresciute nel tempo dai direttori del suo museo attraverso acquisti e donazioni. L'ultima in ordine di tempo è la selezione di circa ottanta pezzi di porcellane europee raccolte dai marchesi Zerilli-Marimò, giunta nel 2017, ma prima di questa la collezione di porcellane si era arricchita di altre donazioni: il Laocoonte e il Vaso da pot-pourri (della Manifattura Ginori di Doccia da parte di Elena Giulini21, rispettivamente nel 1993 e nel 2015, e la coppia di ciste disegnate da Gio Ponti e da Libero Andreotti per Fernanda e Ugo Ojetti, donate dalla figlia Paola nel 1973, che hanno ispirato la mostra in corso.
Mostra: Oro Bianco. Tre secoli di porcellane Ginori
Milano - Museo Poldi Pezzoli
Apertura: 25/10/2023
Conclusione: 19/02/2024
Curatore: Rita Balleri, Oliva Rucellai, Federica Manoli,
Indirizzo: via Alessandro Manzoni, 12 - 20121 Milano
Orario: da mercoledì a lunedì 10.00 - 18.00 | martedì chiuso
Ingresso: 14-10 euro
Catalogo: edito da Skira
Per info: 02 794889 | 02 796334 | info@museopoldipezzoli.org
Sito web per approfondire: https://museopoldipezzoli.it/
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