Riccardo Dalisi. Radicalmente

  • Quando:   10/11/2023 - 03/03/2024
  • evento concluso

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Riccardo Dalisi. Radicalmente
Riccardo Dalisi nel suo studio/ Riccardo Dalisi in his office, Napoli/Naples, foto di Fulvio Cutolo Courtesy Archivio Riccardo Dalisi

Fino al 3 marzo 2024 MAXXI ospita "Radicalmente", grande retrospettiva dedicata a Riccardo Dalisi a un anno dalla scomparsa, con la curatela di Gabriele Neri ed il progetto di allestimento di Novembre Studio, realizzata in collaborazione con Archivio Riccardo Dalisi.

Al centro della ricerca del MAXXI si indaga sul Mediterraneo, luogo di convivenza e dialogo, custode di un patrimonio culturale e identitario comune che oggi più che mai è necessario ribadire. Il programma culturale del museo dà dunque vita a un nuovo ciclo di approfondimenti volti a trattare il tema del Mare Nostrum attraverso la lente dell'arte, dell'architettura e del design con una grande retrospettiva dedicata a Riccardo Dalisi (Potenza 1931 – Napoli 2022), a un anno dalla scomparsa.

Riccardo Dalisi è stato uno dei più poliedrici progettisti italiani degli ultimi decenni, anticonvenzionale, rivoluzionario e di difficile catalogazione. Muovendosi liberamente tra architettura e design, arte e artigianato, partecipazione e impegno sociale, ricerca accademica e tradizioni popolari, ha infatti esplorato percorsi e approcci che – sebbene spesso incompresi – oggi si distinguono come esperienze pionieristiche per affrontare le grandi sfide progettuali dei nostri tempi.

La mostra al MAXXI presenta per la prima volta l'opera di Dalisi nella sua estrema varietà e vastità. Dai laboratori creativi con i bambini di Napoli (quelli al Rione Traiano sono raccontati da una serie di fotografie di Mimmo Jodice), al rivoluzionario lavoro nel campo del design (come ad esempio il design ultrapoverissimo, caratterizzato da tecniche povere e materiali di riciclo, tra cui sculture, lumi e oggetti di latta creati da laboratori di migranti e persone senza lavoro).
Dall'architettura costruita (come la Borsa Merci di Napoli, realizzata con Michele Capobianco e Massimo Pica Ciamarra nel 1964, o gli interventi di "restauro creativo" nei paesi dell'Irpinia colpiti dal terremoto del 1980) a quella immaginata, con progetti visionari e irrealizzabili, piani utopici e disegni ironici ma provocatori che, nel loro insieme, evocano un mondo surreale, poetico e critico nel contempo.

La mostra presenta inoltre il recupero artistico della cultura e della tradizione popolare, con pitture e sculture, spesso in grande formato, in cui rivivono i personaggi della cultura partenopea e mediterranea.
Viene inoltre esposta per la prima volta la Sedia del cece, serie di disegni che Dalisi chiese a Andy Warhol, Joseph Beuys, Ettore Sottsass, Enzo Mari, Bruno Munari, Paolo Portoghesi, Superstudio, Archizoom, Zziggurat, 9999, Aldo Rossi, Franco Purini, Franco Raggi, Ugo La Pietra, Gae Aulenti, Hans Hollein e molti altri. Punto di partenza, la suggestione di una piccola sedia realizzata da una bambina napoletana con legno di scarto e una molletta per i panni, con adagiato un cece.... leggi il resto dell'articolo»

Tra le sue opere più famose c'è la rielaborazione della caffettiera napoletana, frutto di una ricerca svolta tra il 1979 e il 1987 per l'azienda Alessi e premiata con il Compasso d'Oro. Questa ricerca, condotta insieme agli artigiani di Rua Catalana a Napoli e i tecnici di Alessi in Piemonte, ha generato, oltre a un modello andato in produzione, centinaia di oggetti a metà tra la caffettiera e la marionetta, in cui si fondono la ricerca funzionale, il design anonimo e la dimensione rituale del caffè, in forma di "Totocchi" (Totò + Pinocchio), guerrieri, cavalieri, robot, Pulcinella e altri personaggi fiabeschi e mitologici.
Attraverso disegni, schizzi, arredi, ricami, oggetti, libri, sculture, dipinti, fotografie, documenti d'archivio, filmati e altri materiali, si scopre il carattere radicale e rivoluzionario del "metodo Dalisi".

Scrive il curatore Gabriele Neri: «Esaltando lo sconfinamento disciplinare, lo stravolgimento del concetto di autore, il "disordine creativo", l'ironia e il gioco, le potenzialità del residuo e della scoria, Dalisi ha lottato per ribadire la "tollerante forza del senso comunitario, per il quale tutti, anche il meno efficiente e disadattato, è utile, è necessario". La sua opera, sospesa tra utopia e realtà, trasforma quelli che pensavamo essere temi e territori marginali in centri nevralgici di discussione e impegno, specie in tempi di crisi che ci obbligano a ripensare il nostro rapporto con il progetto e con il mondo».

In mostra emergono anche i fertili contatti che Riccardo Dalisi ebbe con artisti, designer, architetti e critici, tra cui Mimmo Jodice (cui il MAXXI dedica un omaggio con l'esposizione di un nucleo di immagini della serie Mediterraneo al Centro Archivi), Alessandro Mendini, Giancarlo De Carlo, Massimo Pica Ciamarra, Mimmo Paladino, Ettore Sottsass e molti altri.
La sua opera, sbocciata nel clima culturale e artistico della Napoli degli anni Sessanta e Settanta, è l'espressione di una "mediterraneità" resistente a una modernità omologante e fallimentare. Allo stesso tempo però, essa si è sempre nutrita di influenze ben più ampie, dal punto di vista geografico e disciplinare – pedagogia, semiotica, linguistica, sociologia, teatro, ecc. – che la mostra punta a valorizzare.

L'allestimento di Novembre Studio, evoca l'immagine di un mondo sottosopra, alternativo come il punto di vista sulla realtà di Dalisi. Le figure oniriche che il maestro ha disegnato e scolpito negli anni accompagnano il visitatore in un paesaggio fuoriscala che ne racconta la poetica in modo diffuso e radicale.

La mostra

Il visitatore si immerge nelle botteghe dei lattonieri di Rua Catalana, nelle strade dei Quartieri Spagnoli, tra le "garitte" realizzate a Palazzo Reale, negli edifici costruiti a Ponticelli e al Rione Traiano, che negli anni Settanta fu il palcoscenico di pionieristici laboratori svolti con i bambini.
In occasione della mostra viene pubblicato un volume, a cura di Gabriele Neri, dedicato alla serie della Sedia del cece, edito da Corraini, con disegni di Riccardo Dalisi, Andy Warhol, Joseph Beuys, Ettore Sottsass, Enzo Mari, Bruno Munari, Paolo Portoghesi, Superstudio, Archizoom, Zziggurat, 9999, Aldo Rossi, Franco Purini, Franco Raggi, Gae Aulenti, Hans Hollein, Ugo La Pietra, ecc. Il volume include le testimonianze di studiosi e progettisti, e un saggio del curatore.
Testi di Lorenza Baroncelli, Stefano Boeri, Sara Catenacci, Domitilla Dardi, Paolo Deganello, Piero Frassinelli, Claudio Gambardella, Fulvio Irace, Ugo La Pietra, Anna Maria Laville, Iolanda Lima, Gabriele Neri, Gianni Pettena, Franco Purini, Franco Raggi, Lia Rumma, Angela Tecce. Include inoltre gli esiti di una ricerca condotta, a partire dalle tracce dell'architetto napoletano, dall'artista fotografo Vincenzo Castella, in collaborazione con NABA, Nuova Accademia di Belle Arti, coinvolgendo un gruppo di giovani artisti visivi dell'Accademia. Attraverso le fotografie in mostra,

Sezioni di mostra

Rione Traiano 

Il Quartiere Traiano di Napoli, costruito dal 1957 su progetto di Marcello Canino, nacque come ambizioso piano di edilizia residenziale pubblica. Ispirato ad esempi scandinavi, prevedeva case, scuole, uffici, negozi e industrie, nel rispetto della natura. Invece di un quartiere modello, divenne tuttavia simbolo di degrado e isolamento, con il raddoppio della popolazione prevista, strade incomplete, servizi mai realizzati.

Il volto del Traiano fu fotografato da Mimmo Jodice in due momenti. I primi scatti ritraggono gli edifici come scenografia di spazi desolati, con bambini spesso emarginati e lontani dalla scuola. In una seconda serie, il quartiere è "animato" da Dalisi, intento a realizzare – con i bambini e i suoi studenti – strutture effimere, arredi e sculture con materiali di scarto.

Geometria Generativa

L'opera di Dalisi si fonda sulla "geometria generativa". Secondo l'architetto, la forma (di un oggetto, un edificio, una città, un fiore) è qualcosa in continua evoluzione: la geometria generativa tenta perciò di cogliere i processi di tale trasformazione, utilizzandoli per "generare" ulteriori configurazioni.
Alla ricerca di un ordine, Dalisi includeva però anche i concetti di imprevedibilità e disordine creativo, immaginando una geometria "viva", come un seme, che si sviluppa disegnando e costruendo. La geometria generativa rende inoltre possibile la coesistenza di voci diverse in una progettazione di gruppo, nel rispetto delle libere singolarità.
Il progetto di un asilo al Rione Traiano, da costruire insieme agli abitanti, si basava sulla geometria generativa: da una griglia ortogonale prende vita un movimento centrifugo che, aprendosi come un'onda, crea l'architettura.

Progetto come riscatto

Nel 1971 Dalisi portò i suoi studenti al Rione Traiano per sperimentare, insieme ai bambini del quartiere, la forza "socioterapeutica" della partecipazione e della creatività come strumento di emancipazione. Al centro c'era l'idea di uno scambio reciproco e mai l'imposizione autoritaria dall'alto, in linea con il lavoro di molti pedagogisti dell'epoca.
Dalisi disegnava e faceva disegnare, assemblare, costruire e cucire, producendo sculture urbane, decorazioni, giocattoli, ricami, oggetti e bizzarri arredi, come sedioline per bambini e grandi troni, in cui favola e realtà si confondono.
Da questa esperienza, egli teorizzò la cosiddetta "tecnica povera": diversa dall'arte povera, essa valorizzava il lavoro collettivo dell'artigianato rispetto alla specializzazione della tecnologia avanzata; "la forza liberatoria dell'autenticità" rispetto al mito dell'esattezza. «La tecnica povera è in stato di rivolta [...] non per soppiantare e distruggere, bensì per allargare e recuperare la sfera della creatività nel lavoro». Fu un'impresa autonoma da ogni istituzione, svoltasi negli scantinati e per le strade, spesso con la diffidenza degli abitanti e degli stessi ragazzi. Ogni giorno l'architetto/professor Dalisi diventava antropologo, educatore, psicologo, animatore, artigiano, prete, mediatore, ricettatore e assistente sociale, inseguendo un inedito modo d'intendere il progetto e la società. I laboratori al Traiano durarono fino al 1974, per poi continuare nei quartieri di Ponticelli, Sanità, Siberia, Secondigliano e Scampia; nel centro storico, nel carcere di Nisida, a Salerno, ecc.
Influenzato dal "teatro povero" di Jerzy Grotowski, Dalisi collaborò anche con il regista campano Gennaro Vitiello, tra i fondatori di Libera Scena Ensemble, che utilizzò i troni in legno e cartapesta nei propri spettacoli.

Gaudì a Napoli

Le opere realizzate da Dalisi con bambini e studenti evocano plurimi riferimenti: cultura popolare e accademica; Paul Klee e l'espressività infantile; i laboratori del Bauhaus; la dimensione magica perduta nella società industriale; l'idea di opera aperta di Umberto Eco; l'approccio maieutico di Danilo Dolci; ecc. Tra le figure di riferimento ci sono anche Antoni Gaudí, su cui Dalisi scrisse un originale libro nel 1979, e Charles Rennie Mackintosh, studiato dall'amico Filippo Alison. In Gaudí, in particolare, Dalisi trovò una fonte d'ispirazione, un patrimonio di tecniche e forme da reinterpretare e nelle quale immedesimarsi. Tutto ciò riaffiorerà negli anni successivi, in arredi, architetture e installazioni testimoni di uno speciale dialogo mediterraneo tra Barcellona e Napoli.

Global tools 

L'attività di Dalisi entrò in risonanza con la cosiddetta "architettura radicale", che tra Firenze e Milano, intorno al 1968, aveva indicato prospettive inedite. Insieme a Archizoom, Remo Buti, Ugo La Pietra, 9999, Gaetano Pesce, Gianni Pettena, Ettore Sottsass, Superstudio, UFO e Zziggurat, nel 1973 Dalisi fondò Global Tools, una "contro-scuola" di architettura e design, "senza studenti né professori". Pensato come un sistema di laboratori, il collettivo puntava a stimolare la creatività individuale, le tecniche manuali, l'espressività del corpo, l'artigianato: «Centro del discorso è la riproposizione dell'uomo de- intellettualizzato, inteso nella sua arcaica possibilità di saggezza...».
Sebbene l'esperimento si chiuda già nel 1975, Dalisi continuerà la didattica alternativa con progetti come "l'Università di strada" e il corso "Progettazione e Compassione" al rione Sanità.

La sedia del Cece

Durante uno dei laboratori organizzati a Napoli, una bambina costruì una piccola sedia con legno di scarto e una molletta per i panni. Invece di una bambola, ci adagiò un piccolo legume: un cece. Dalisi ne fu subito colpito, poiché alla favola della principessa sul pisello si mischiava quella di Cicerenella (piccolo cece), nota filastrocca popolare.
Tale oggetto stimolò l'idea di una «contro-animazione»: "animare" noti personaggi dell'arte e del design con l'opera di una bambina napoletana. L'occasione perfetta fu la Biennale di Venezia del 1978. Dalisi girava per le calli con la sediolina e dei fogli in mano, chiedendo ad architetti, designer e artisti un disegno ad essa ispirato. Il "gioco" continuò negli anni successivi, producendo una collezione inestimabile. Agli esponenti dell'architettura radicale si aggiunsero Aldo Rossi, Franco Purini, Giancarlo De Carlo, Paolo Portoghesi, Gae Aulenti, Bruno Munari, Enzo Mari e altri. Spiccano i nomi di Andy Warhol e Joseph Beuys, frequentatori della scena artistica napoletana, insieme a Jannis Kounellis, di cui però non rimane traccia.
La fiaba si tramutò infatti in un giallo: un giorno i disegni sparirono, per ricomparire, anche se non tutti, tempo dopo. Allo sconforto, Dalisi rispose con un nuovo progetto: una serie di sculture ispirate alla Sedia del cece.
Facendo interagire celebri artisti con la fantasia di una bambina, Dalisi esaltava la dimensione collettiva della creatività, capovolgendo i concetti di autore e di opera d'arte, per creare infine una favola a più voci.

Caro Riccardo

Dalisi intrecciò una straordinaria rete di relazioni, che dimostra la sua volontà di intervenire nei più rilevanti dibattiti del tempo. Decisivo fu lo scambio con Giancarlo De Carlo: pioniere della partecipazione in architettura, questi stimolò infatti i primi laboratori di Dalisi e ospitò i suoi scritti sulla rivista "Spazio & Società".
Un interessante rapporto si creò anche con lo storico dell'arte Enrico Crispolti, che negli anni Settanta parlava di "operatore estetico" in sostituzione dell'artista, esaltando il principio della cooperazione. Fu Crispolti a invitarlo alla Biennale di Venezia del 1976, dandogli visibilità internazionale.
Tra le amicizie più durature ci fu poi quella con Alessandro Mendini, che gli diede largo spazio sulla rivista "Casabella" e collaborò con lui in tante occasioni, condividendo l'approccio radicale e allo stesso tempo favolistico al progetto.

L'opera buffa del design

Architetto di formazione, Riccardo Dalisi approda al design quando capisce che un oggetto, rispetto a un edificio, può essere realizzato anche da un bambino.
Dopo gli esperimenti di "tecnica povera" al Rione Traiano, tra il 1979 e il 1987 egli sviluppò per l'azienda Alessi una sorprendente ricerca sulla tradizionale caffettiera napoletana, in cui si mischiano gli aspetti funzionali e antropologici (il rito del caffè) di un prodotto di design anonimo, perfezionato nei secoli.
Tale indagine, condotta insieme agli artigiani di Rua Catalana a Napoli e ai tecnici di Alessi in Piemonte, gli valse il Compasso d'Oro nel 1981. Ne derivarono non solo decine di prototipi e un modello finale messo in produzione, ma soprattutto un esercito di caffettiere "animate" e caricaturali: guerrieri, cavalieri, santi, robot, Pulcinella, Totocchi (unione di Totò e Pinocchio) e molti altri personaggi. Come scrisse Alberto Alessi, "assalito" e poi convinto dagli innumerevoli prototipi che giungevano da Napoli nel suo ufficio, «Dalisi è riuscito ad intaccare la sicurezza della nostra condizione industriale».
Negli anni successivi egli collaborò con molte aziende, da nord a sud e anche all'estero, progettando lampade, arredi, piastrelle, mosaici e altri prodotti (addirittura il prototipo di un'automobile per la Fiat) con forme libere derivate dalla natura e dalla fantasia.
Il "metodo Dalisi", anticonvenzionale e rivoluzionario, ha contribuito a promuovere la cultura del design nel sud Italia, sulla scia di pionieri come Roberto Mango, organizzando numerose mostre e dirigendo la Scuola di Specializzazione in Disegno industriale presso la Facoltà di Architettura di Napoli.

Ultrapoverissimo

Tecniche povere, materiali di riciclo, iconografia popolare e "produttività disperata" riemergono nel design "ultrapoverissimo", composto da sculture, lumi, lampioni e oggetti fatti in latta a partire dai disegni di Dalisi, realizzabili anche da persone senza esperienza, a cui insegnare un mestiere. Nel 2013, ad esempio, nasce a Napoli l'Officina Sociale Avventure di Latta: un laboratorio di migranti che lavorano metalli poveri per produrre gioielli, vasi e lampade.
Vincitore di due Compassi d'Oro, Dalisi inventerà (insieme a Alessandro Guerriero) il "Compasso di Latta" come simbolo di un nuovo approccio al progetto. È il "design della decrescita", che riprende il pensiero di Victor Papanek (Progettare per il mondo reale) e Serge Latouche (La scommessa della decrescita), teorizzando il riuso, l'economia circolare, il risparmio e una nuova sobrietà.

Mitologie

L'opera di Dalisi ha saputo reinterpretare e rilanciare fiabe, racconti popolari, miti moderni e antichi, in varia maniera appartenenti alla cultura partenopea e mediterranea. A partire dagli anni Novanta, tale immaginario – abitato da personaggi e simboli del cristianesimo, della mitologia classica e della tradizione locale – è stato tradotto in pitture e sculture, spesso di grande formato, raffiguranti Polifemo, Vulcano, Madonne, angeli, suonatori, sovrani, guerrieri e molti altri soggetti.
Dipinti su carta con l'esuberanza cromatica e gestuale che contraddistingue l'espressionismo di Dalisi, oppure scolpiti con metalli poveri (latta, rame, ferro, ottone) dai suoi fedeli artigiani con tecniche semplici, questi personaggi si aggiungono allo sterminato popolo di burattini, pupazzi, totocchi e caffettiere, toccando però una dimensione più alta e sacrale.
Vicine, per dimensione e soggetto, all'essere umano, tali figure testimoniano il suo particolare approccio alla religione e alla spiritualità. Frequentatore del Centro Coscienza di Milano di Tullio Castellani, legato al pensiero greco e immerso nella religiosità popolare partenopea (sono molti gli interventi da lui fatti nelle chiese cittadine), Dalisi si è avvicinato all'opera di diversi filosofi e teologi, tra cui Raimon Panikkar. Nel dialogo interculturale e interreligioso di quest'ultimo, ad esempio, Dalisi trovò un modo per mettere a sistema la molteplicità di riferimenti visivi e spirituali incontrati nella sua vita.
Tra le opere esposte c'è anche una scultura creata con Mimmo Paladino, con cui realizzò una serie di opere intitolata "I Paladisi".

Architettura dell'imprevedibilità

L'opera di Dalisi ha origine nell'architettura. Dopo la laurea nel 1957, egli lavorò con Francesco Della Sala, già allievo di Gropius in America, che gli insegnò la "scontentezza" come metodologia progettuale, minando ogni certezza dogmatica.
Nel 1962 aprì uno studio con Massimo Pica Ciamarra, con cui progettò numerosi complessi scolastici e universitari, intesi come luoghi di fertile sperimentazione spaziale e sociale: già si manifestava quella speciale attenzione per la partecipazione e la pedagogia che poi applicherà al Rione Traiano. Con Pica Ciamarra e Michele Capobianco, Dalisi realizzò la Borsa Merci di Napoli (1964), edificio in cemento tagliato in due da un percorso pedonale.
Negli anni Settanta, i progetti di Dalisi fondono vari riferimenti: dall'architettura organica di Frank Lloyd Wright alla "geometria generativa" che – con le sue traiettorie dinamiche e appuntite – sembra anticipare il decostruttivismo di Zaha Hadid, Frank Gehry e Daniel Libeskind.
Dopo il terremoto del 1980, Dalisi si cimenterà anche nella complessa opera di "restauro creativo" dei paesi dell'Irpinia, operando sull'architettura sacra e anonima, tra ricostruzione e rinnovamento. Ad esempio, nella chiesa di Ospedaletto d'Alpinolo la cupola fu interamente rifatta con tecniche moderne, interventi artistici e illusioni ottiche.

Architettura viva

La ricerca architettonica di Dalisi comprende un nutrito filone di progetti irrealizzabili, piani utopici e disegni ironici ma provocatori, che nel loro insieme formano un mondo surreale, poetico e critico.
Un grande "portale con Acropoli" fa parte dei tanti progetti visionari per Napoli, mentre Una porta per Venezia (1992) utilizza l'acqua come elemento generativo. Il piano per Panopolis (1999), concepito con François Zille, immagina invece una città ideale, da collocare in Campania nel mezzo di zone degradate da autostrade, abusivismi, presenze inquinanti. Al centro c'è una piazza a forma di occhio, moderna agorà con musei, scuole, auditorium, residenze, negozi, ecc. La sua costruzione, come per la Reggia di Caserta o le grandi cattedrali, avrebbe fatto convergere architetti, artisti e artigiani, diventando «fonte di propulsione e produzione di civiltà, [...] una fabbrica di emozioni e di processi di conoscenza». Nelle città ideali di Dalisi gli abitanti viaggerebbero su auto dal profilo bizzarro (come quella da lui proposta alla Fiat) e vivrebbero in case a forma di farfalla.
La lettura di Serge Latouche e Raimon Panikkar stimolerà la pubblicazione di Decrescita. Architettura della Nuova Innocenza (2009), libro-manifesto di un rinnovato equilibrio tra progetto e ambiente, con frammenti classici, costruzioni rurali e "follie" architettoniche immerse nella natura.

Dalisi Napoli oggi

Progetto visivo realizzato in collaborazione con NABA, Nuova Accademia delle Belle Arti In occasione della mostra "Riccardo Dalisi. Radicalmente", il Maxxi ha commissionato a Vincenzo Castella un lavoro sul campo, alla ricerca dei luoghi di Napoli in cui l'architetto, designer e artista ha lasciato le sue tracce.
Riprendendo lo spirito partecipativo dalisiano, Castella ha coinvolto un gruppo di giovani artisti (Daniele Marzorati, Davide Barberi, Edoardo Bonacina, Josefine Jyllnor) di NABA – Nuova Accademia delle Belle Arti, dando forma a un mosaico di immagini in cui l'occhio del singolo si diluisce nell'opera collettiva. La stessa cosa accade con le installazioni urbane di Dalisi, che comprendono sculture, paralumi, maschere, decorazioni, arredi urbani e piccole architetture. Visibili o nascoste, grandi o piccole, esse sono infatti divenute parte della stratificazione incessante che dà forma alla città, confondendosi con segni nobili e popolari, spontanei e progettati, effimeri e permanenti.
Come un grande libro aperto, questa "inchiesta" metropolitana conduce il visitatore nelle botteghe dei lattonieri di Rua Catalana, dove Dalisi aveva lo studio e produceva le sue opere; nelle strade dei Quartieri Spagnoli, coronate da piccole sculture angolari; tra le "garitte" realizzate a Palazzo Reale; nel Rione Sanità, tra la Basilica di Santa Maria e il Giardino degli Aranci; negli edifici costruiti a Ponticelli e infine al Rione Traiano, che negli anni Settanta fu il palcoscenico di pionieristici laboratori svolti con i bambini.

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Mostra: Riccardo Dalisi. Radicalmente

Roma - MAXXI

Apertura: 10/11/2023

Conclusione: 03/03/2024

Organizzazione: Fondazione Maxxi

Curatore: Gabriele Neri

Indirizzo: via Guido Reni, 4a - 00196 Roma

Orario: martedì-domenica 10.00-19.00

Per info: +39 06 3201954 | infopoint@fondazionemaxxi.it

Catalogo: a cura di Gabriele Neri, edito da Corraini

Sito web per approfondire: https://www.maxxi.art/



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