Arte modernaMostre a Trento

Arte e Fascismo

  • Quando:   14/04/2024 - 01/09/2024
Arte e Fascismo
Adolfo Wildt, Dux, 1923, Collezione privata

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Dal 14 aprile al 1 settembre 2024 il Mart di Rovereto propone la mostra "Arte e Fascismo",  da un'idea di Vittorio Sgarbi e a di cura di Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari. L'esposizione analizza i vari e complessi modi in cui il regime fascista influì sulla produzione figurativa italiana, utilizzando a fini propagandistici il linguaggio dell'arte.

La mostra Arte e Fascismo analizza i vari e complessi modi in cui il regime fascista influì sulla produzione figurativa italiana, utilizzando a fini propagandistici i linguaggi dell'arte e dell'architettura.

Il ritorno all'antico, funzionale all'affermazione della tradizione italiana, trova varie declinazioni, dal rinnovato sguardo ai maestri antichi dei protagonisti di Novecento fino a più radicali affermazioni di un'arte di propaganda volta alla costruzione del consenso. Lo stesso modello di una ritrovata armonia tra tradizione e modernità gode del sostegno da parte del regime, alla ricerca della definizione di un "sistema delle arti" organizzato.
Allo stesso tempo, i nuovi luoghi del potere divengono strumento di affermazione attraverso un linguaggio aperto tanto al classicismo quanto al razionalismo, che coinvolge architettura, scultura e arte murale, rinata sotto l'impulso di una rinnovata volontà celebrativa.

La mostra rievoca le principali occasioni in cui gli artisti danno voce all'ideologia, ai temi e ai miti del fascismo attraverso la partecipazione a Biennali, Quadriennali, mostre sindacali, a concorsi e a commissioni pubbliche.

Tra pittura, scultura, documenti e progetti, il percorso espositivo si snoda tra circa 400 opere di artisti e architetti come Mario Sironi, Carlo Carrà, Adolfo Wildt, Arturo Martini, Marino Marini, Massimo Campigli, Achille Funi, Fortunato Depero, Tullio Crali, Thayaht, Renato Bertelli, Renato Guttuso. Provenienti da collezioni pubbliche e private le opere dialogano con alcuni dei grandi capolavori del Mart e con numerosi materiali provenienti dai fondi dell'Archivio del '900.... leggi il resto dell'articolo»

Affondando le sue radici nei decenni antecedenti e spaziando dalle pratiche tradizionali alle arti applicate, la cultura visiva del Ventennio testimonia lo svilupparsi di una varietà di stili senza precedenti. Diversamente da altri regimi, quello fascista non impone un gusto, facendo proprie anche alcune delle tendenze artistiche che si affermano in quel periodo storico. La mancanza di un unico orientamento facilita lo sviluppo di un'eterogenea e dinamica presenza di espressioni e correnti. Accanto al persistere di ricerche di avanguardia legate al Futurismo, si delinea una linea di "ritorno all'ordine", che confluisce nel movimento del Novecento italiano, creato da Margherita Sarfatti. Il ritorno all'antico, funzionale all'affermazione della tradizione italiana, trova varie declinazioni, dal rinnovato sguardo ai maestri antichi dei protagonisti di Novecento fino a più radicali affermazioni di un'arte di propaganda volta alla costruzione del consenso.

Il modello di una ritrovata armonia tra tradizione e modernità gode del consenso da parte del regime, alla ricerca della definizione di un sistema delle arti organizzato. Uno straordinario apparato di premi, esposizioni pubbliche, convenzioni e mostre permette al regime di intercettare gli artisti più significativi, di sostenerne l'opera e di inglobarli nel più ampio progetto di promozione generale. Attraverso la partecipazione a biennali, quadriennali, mostre sindacali, a concorsi e a commissioni pubbliche gli artisti danno voce all'ideologia, ai temi e ai miti del fascismo.

Lo stesso rapporto tra gli artisti e il potere non è definito né unico. Accanto a figure dichiaratamente fasciste, convinte sostenitrici del Duce come Depero e Sironi, si muovono artisti meno ingaggiati, più o meno distanti ma comunque presenti nel ricco panorama italiano.

Allo stesso tempo, i nuovi luoghi del potere divengono strumento di affermazione attraverso un linguaggio aperto tanto al classicismo quanto al razionalismo, che coinvolge architettura, scultura e arte murale, rinata sotto l'impulso di una rinnovata volontà celebrativa.

Tra pittura, scultura, documenti e materiali d'archivio, il percorso espositivo si snoda tra 400 opere di artisti e architetti come Mario Sironi, Carlo Carrà, Adolfo Wildt, Arturo Martini, Marino Marini, Massimo Campigli, Achille Funi, Fortunato Depero, Tullio Crali, Thayaht, Renato Bertelli, Renato Guttuso. Provenienti da collezioni pubbliche e private le opere dialogano con alcuni dei grandi capolavori del Mart e con numerosi materiali provenienti dai fondi dell'Archivio del '900.

Otto sezioni cronologiche e tematiche scandiscono la visita: Novecento italiano, dedicata al grande progetto di sostegno agli artisti e alla cultura di Margherita Sarfatti, intellettuale e curatrice ante litteram; L'immagine del potere, sull'iconografia del Duce tra celebrazione del capo e diffusione del mito; Futurismo. Celebrare l'azione, l'arte totale della maggiore avanguardia italiana; La funzione sociale dell'arte pubblica, l'educazione e la propaganda attraverso la grande arte murale, i mosaici, gli affreschi, i decori, i monumenti; L'architettura e il rapporto con le arti, progetti, bozzetti e arte astratta per edifici grandiosi che esaltassero la potenza italiana, Nuovi miti, non solo l'eroe e l'atleta, ma anche il lavoratore, la donna, la famiglia, alla ricerca della definizione di un sistema sociale virtuoso; Il sistema delle arti, l'organizzazione di un'arte di stato tra mostre, quadriennali, biennali e concorsi; La caduta della dittatura, la fine di un'era tra iconoclastia, satira e dramma.
L'allestimento è progettato da Baldessari e Baldessari.

Il catalogo
La mostra è accompagnata da un ricco catalogo pubblicato da L'Erma di Bretschneider con saggi di alcuni tra i maggiori studiosi del periodo, un'introduzione di Vittorio Sgarbi, i testi delle curatrici della mostra e dei ricercatori dell'Archivio del '900 del Mart.

Il percorso

In quali modi il regime fascista ha influenzato la cultura figurativa durante il ventennio? Come si è sviluppato il complesso sistema dell'arte e in che modo gli artisti hanno dato voce all'ideologia, ai temi e ai miti del fascismo?

La mostra del Mart vuole rispondere a queste domande raccontando, attraverso otto sezioni tematiche, la coesistenza di differenti linguaggi artistici nell'epoca della dittatura. Diversamente da altri regimi, infatti, quello fascista non impone uno stile bensì adotta alcune delle tendenze che si affermano in quel periodo.

Il percorso prende avvio da Novecento Italiano, il movimento promosso da Margherita Sarfatti che esordisce in concomitanza con l'ascesa di Mussolini al potere. L'immagine del dittatore è protagonista della seconda sezione, dove si confrontano visioni avanguardiste e classiciste che interpretano il tema celebrativo del ritratto del Duce. Se il ritorno all'antico di Novecento appare in sintonia con l'affermazione della grandezza della tradizione italiana, il Futurismo condivide con il fascismo lo slancio interventista e rivoluzionario. Un tema particolarmente importante è rappresentato dall'impulso dato all'architettura e alla decorazione murale e al modo in cui pittori e scultori si misurano con la funzione sociale dell'arte pubblica. Emergono temi che veicolano gli ideali fascisti, come quello della famiglia, dello sport e del lavoro. Alla fine degli anni Trenta, comincia a prevalere un'arte di propaganda finalizzata alla costruzione del consenso e si consolida un'organizzazione che disciplina la politica delle arti attraverso sindacati, corporazioni, commissioni, premi e concorsi. L'entrata in guerra segna la fine di tale parabola autocelebrativa, come si può vedere nell'ultima sezione, dedicata alla caduta della dittatura.

Novecento Italiano

Nei primi anni Venti, Margherita Sarfatti ha un ruolo di primo piano nell'orientare il gusto e l'attenzione di Mussolini verso le arti figurative. In qualità di Presidente del Consiglio, egli interviene all'inaugurazione della prima mostra dei sette Artisti del Novecento, tenutasi nel 1923 alla Galleria Pesaro di Milano, dichiarando di non voler incoraggiare un'arte di stato, in quanto "L'arte rientra nella sfera dell'individuo. Lo Stato ha un solo dovere: quello di non sabotarla [...]".
I pittori che formano il gruppo originario – Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi e Sironi – sono tutti rappresentati in questa sezione, affiancati da altri artisti che partecipano alle mostre organizzate da Sarfatti a partire dal 1926, quando il movimento assume ufficialmente il nome di Novecento Italiano.

Ognuno di essi dipinge in modo diverso, dalle stilizzazioni arcaiche di Campigli alle atmosfere sospese di Casorati, dalla concentrazione sui valori tonali di Morandi alle masse pesanti e squadrate delle figure di Sironi, ma per tutti valgono le parole di Sarfatti: "limpidità nella forma e compostezza nella concezione", nonché quelle di Lino Pesaro che sottolinea la volontà di "fare dell'arte pura italiana, ispirandosi alle sue purissime fonti, sottraendola a tutti gli 'ismi' d'importazione".

L'immagine del potere
Il ventennio fascista vede una larghissima diffusione dell'immagine di Benito Mussolini. La sua effigie viene utilizzata a fini di propaganda e costruzione del consenso, attraverso l'esaltazione di tratti fisionomici e caratteriali che diventano metafore del potere.
L'evoluzione dell'iconografia mussoliniana segue lo svolgersi degli eventi, riflettendo l'ascesa del Duce verso un regime dittatoriale e le sue ambizioni imperialiste. I ritratti degli anni Venti rappresentano il primo ministro in abiti borghesi, nel solco del ritratto di matrice ottocentesca, anche se non mancano i ritratti ideali che ne fanno la personificazione di una rinnovata classicità, come ad esempio il busto monumentale commissionato a Wildt da Sarfatti per la Casa del Fascio di Milano. Qui il dittatore appare, severo e ieratico, nelle vesti di un imperatore romano. Questa iconografia classicista si affermerà ancor di più negli anni Trenta, per legittimare l'espansione coloniale dell'Italia.

In quest'epoca prevale l'immagine del Duce come emblema di forza e progresso, modernizzato dallo stile degli artisti futuristi che lo ritraggono come eroe "nuovissimo": condottiero a cavallo, nocchiere al timone della nazione, aviatore. Nelle sculture di Thayaht e di Bertelli la testa di Mussolini si trasforma in un elmo metallico o in una sintesi dinamica che esprime forza ed energia, un profilo che ruota di 360 gradi, metafora di colui che tutto vede e controlla. Come scrive Carlo Belli: "un candore commovente ci spingeva a credere che il fascismo fosse il movimento instauratore di una lucida modernità europea!".

Futurismo. Celebrare l'azione

I rapporti di Mussolini con Marinetti e il movimento futurista sono complessi e non sempre lineari, tra allontanamenti e ritorni, ammirazione e distacco. Fascismo e Futurismo condividono il mito dell'azione, l'interventismo, l'estetica della guerra e dei mezzi meccanici, in particolare gli aeroplani, il fascino della scienza e della tecnica. Negli anni Trenta, gli aeropittori e gli artisti della seconda stagione del movimento fanno proprie le esigenze propagandistiche del regime, celebrandone gli ideali e coniando addirittura il termine "futurfascismo". Tuttavia, l'avanguardia non riesce a ritagliarsi un ruolo da protagonista nella politica culturale del ventennio, come si può capire dalla quantità modesta di opere futuriste entrate a far parte delle collezioni pubbliche e dal limitato coinvolgimento di artisti quali Prampolini, Balla e Depero nelle grandi committenze statali.

Se è vero che il Futurismo non diviene mai arte di Stato, il movimento è però determinante per fondare qualcosa di più importante: un'estetica moderna in Italia. Un linguaggio visivo innovativo che sfrutta tutte le opportunità offerte dal vasto sistema autocelebrativo del regime, esprimendosi nella grafica e nell'illustrazione, negli allestimenti per padiglioni ed esposizioni, in immagini che vengono riprodotte in serie, amplificando in sommo grado questa nuova estetica.

La funzione sociale dell'arte pubblica
Il Manifesto della pittura murale, firmato da Sironi, Funi, Campigli e Carrà nel 1933, sottolinea il valore collettivo e morale della grande decorazione, la sua destinazione sociale e la sua capacità di esprimere valori ideali. L'arte pubblica, diversamente da quella destinata ai salotti borghesi, deve essere accessibile a tutti e Sironi auspica una rinascita delle arti frutto della complementarietà di arte e architettura. "Quando si dice pittura murale" scrive l'artista "non s'intende dunque soltanto il puro ingrandimento sopra grandi superfici di quadri che siamo abituati a vedere [...]. Si prospettano invece nuovi problemi di spazialità, di forma, di espressione, di contenuto lirico o epico o drammatico".

La questione della sapienza tecnica e della conoscenza del mestiere si rivela fondamentale per affrontare le difficoltà della grande decorazione a mosaico o ad affresco. Oltre a Sironi, impegnato nella decorazione dell'Aula Magna dell'Università La Sapienza di Roma, si misura con questa tecnica Achille Funi, per il quale il ministro Bottai istituisce la prima cattedra di affresco in Italia, all'Accademia di Brera. I cartoni preparatori esposti in mostra evidenziano la sua predilezione per soggetti mitologici o tratti dalla storia antica, in sintonia con il classicismo novecentista.

Tra gli scultori particolarmente attivi nell'ambito dell'arte pubblica vi è Arturo Martini che, nel nuovo Palazzo di Giustizia a Milano, colloca il grandioso bassorilievo in marmo La Giustizia corporativa, qui in una fusione in bronzo di dimensioni più piccole.

L'architettura e il rapporto con le arti
Nel 1933 Antonio Maraini, artista a capo del Sindacato Nazionale Fascista di Belle Arti, scrive del "meraviglioso germogliare di palazzi, di piazze, di vie aperte alla vita, allo studio, al traffico della nazione" su cui si andava fondando l'arte fascista.
L'architettura è considerata la più importante tra le arti per il suo ruolo nella rappresentazione del potere e nella costruzione di una nazione moderna. È infatti al centro delle esposizioni del regime, promossa da eventi come la Triennale di Milano e diffusa dalle riviste.

L'imponente piano di edificazione voluto dal fascismo dà impulso all'economia investendo sia nel rinnovamento delle città storiche sia nella fondazione di nuovi borghi e centri urbani come Littoria, Sabaudia e altre località dell'Agro Pontino, recentemente bonificato. Vengono realizzate, in particolare, opere pubbliche che rivestono un ruolo fondamentale nel portare l'ideologia fascista nella vita privata dei cittadini: scuole, stazioni, palazzi di giustizia e delle poste, case del fascio, complessi sportivi come il Foro Mussolini. Con questi temi si misurano gli architetti dell'epoca, interpretando il linguaggio internazionale del Razionalismo oppure conciliando le forme essenziali dell'architettura moderna con una monumentalità che il regime impone con sempre maggiore insistenza dopo la metà degli anni Trenta, quando si vuole sottolineare il legame con la Roma imperiale. Tale grandiosità celebrativa raggiunge il suo apice nei progetti per l'Esposizione Universale del 1942, alla quale viene destinato un nuovo quartiere a sud di Roma.

Dall'Archivio del '900 del Mart proviene la maggior parte dei progetti esposti, che riguardano personaggi come Angiolo Mazzoni, funzionario del Ministero delle Comunicazioni, Adalberto Libera, Luigi Figini e Gino Pollini, Giuseppe Terragni.

Nuovi miti
L'ideologia fascista suggerisce agli artisti nuovi temi che contribuiscono alla narrazione di un paese di eroi, atleti, contadini. In particolare, il corpo prestante e allenato, teso al movimento e alla competizione, rappresenta l'espressione più nobile della vitalità di un popolo. Il culto del corpo affonda le sue radici nella tradizione classica e alcune delle moderne discipline sportive hanno origine nelle attività fisiche praticate nell'antica Roma. Durante il ventennio, lo sport è considerato uno dei valori della società italiana e possiamo vedere il riflesso di tale convinzione nel moltiplicarsi di opere d'arte che hanno come protagonisti nuotatori, calciatori, lottatori, corridori o pugilatori.

L'esaltazione classica della figura umana è presente anche in altri soggetti cari al regime, come il lavoro e la famiglia. Coerentemente con l'obiettivo dell'incremento demografico, quest'ultima ha un ruolo centrale nella società fascista, la quale impone una visione tradizionale e antiborghese che privilegia le famiglie numerose e legate alla terra.
Carlo Bonacina, ad esempio, dedica alcuni suoi dipinti e affreschi a La famiglia rurale, rappresentando in modo edificante l'ambiente contadino in cui viveva dal 1931, dopo il suo trasferimento in una valle del Trentino.

Quella raffigurata dallo scultore Arrigo Minerbi è, invece, la famiglia delle origini, con i progenitori raccolti intorno al fuoco e circondati da una natura con la quale sono ancora perfettamente in armonia.

Il sistema delle arti
Il fascismo, contrariamente ad altre dittature, non impone una vera e propria "arte di stato", bensì preferisce controllare e indirizzare la produzione artistica attraverso un capillare sistema di premi, sovvenzioni, esposizioni. Questo complesso sistema delle arti garantisce una certa pluralità di linguaggi e, almeno fino al 1938, consente alla maggior parte degli artisti di beneficiare del sostegno dato dal regime allo sviluppo delle arti. Dopo la promulgazione delle leggi razziali, invece, pittori, scultori e architetti di origine ebraica si vedono negare il diritto di progettare, insegnare, esporre e vendere le proprie opere.

Nel corso del ventennio nascono nuove rassegne: la Triennale di Milano e la Quadriennale di Roma affiancano la Biennale di Venezia, mentre alla fine degli anni Trenta vengono istituiti due concorsi: il Premio Bergamo e il Premio Cremona. Nato per iniziativa del ministro Bottai, il Premio Bergamo vede la partecipazione di artisti dalla spiccata originalità espressiva come Guttuso, Birolli, Morlotti, Capogrossi, Rosai. Il Premio voluto dal gerarca Farinacci a Cremona, invece, vuole essere una chiara espressione dell'arte fascista. Con esso si manifesta l'ingerenza della politica sull'arte e la volontà di stringere un'alleanza con la Germania nazista, che nel 1941 ospiterà ad Hannover la mostra della sua terza edizione. Le opere di Cesare Maggi e Alfredo Catarsini sono un esempio di come gli artisti interpretano, con un linguaggio semplice e comprensibile, i soggetti propagandistici dettati dal regime: "Ascoltazione alla radio di un discorso del Duce" e "La battaglia del grano".

La caduta della dittatura
Tra la fine degli anni Trenta e l'inizio degli anni Quaranta si scorgono i primi segni della crisi della dittatura. Dopo anni all'insegna della celebrazione, viene il tempo in cui alcuni artisti esprimono una critica dura e implacabile, fino a quel momento proibita.
Per molti di loro, che avevano militato nelle fila del fascismo, è un drastico cambiamento di rotta. È il caso del "fascista selvaggio" Mino Maccari, che, nell'estate 1943, presenta nella sua casa a Cinquale la serie Dux: dipinti e disegni realizzati "con furia gioiosa e insieme tragica". Da sempre irreverente osservatore del malcostume della società, illustratore caricaturista e poi direttore della rivista "Il Selvaggio", egli dà vita a impietose parodie di un Duce grottesco e dissoluto.

In questo periodo Mario Mafai, in fuga con la famiglia per sottrarsi alle leggi razziali, crea le sue Fantasie, un ciclo pittorico di allucinata violenza che denuncia la brutalità della guerra, come in passato fece Goya con i suoi Capricci. Ma la satira più irriverente e beffarda è quella del Gibbo disegnato da Tono Zancanaro, caricatura di un Duce violento e osceno che incarna i vizi e i mali dell'intera società.
Inesorabilmente, con la fine del regime cadono i suoi simboli: le effigi del dittatore che erano state oggetto di culto vengono colpite dalla furia iconoclasta che accompagna il declino di ogni tirannia. Ce lo ricorda il busto in bronzo Dux di Adolfo Wildt, danneggiato dai partigiani nei giorni della Liberazione.

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Mostra: Arte e Fascismo

Rovereto, Mart

Apertura: 14/04/2024

Conclusione: 01/09/2024

Organizzazione: Mart

Curatore: Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari

Indirizzo: Corso Bettini 4 - 38068 Rovereto (TN)

Orario: Martedì-Domenica 10.00-18.00 | Venerdì 10.00-21.00 | Lunedì chiuso

Biglietto: Intero 15 € | ridotto 10 € (biglietto unico per tutte le sedi del Mart) | Gratuito fino ai 14 anni e persone con disabilità

Per info: +39 0464 438887 | info@mart.tn.it | Numero verde 800.397760

Catalogo: pubblicato da L'Erma di Bretschneider

Sito web per approfondire: https://www.mart.tn.it/



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