Pittori, illustratori, scenografi, costumisti, Leonor Fini e Fabrizio Clerici furono vivaci protagonisti degli ambienti intellettuali e borghesi del secondo Novecento.
Al Mart la più grande mostra mai realizzata sulla lunga e profonda amicizia che li unì. Un vertiginoso racconto per immagini attraverso più di 400 opere provenienti da preziose collezioni pubbliche e private. A Rovereto fino al 5 novembre.
“Gli ultimi sopravvissuti di una specie, o meglio di un’epoca svanita […] rappresentanti, seppur in modo singolare e fuori contesto,
del Settecento, cioè della civiltà più matura e colimaçonné di tutte quelle esistite”
Alberto Savinio
Leonor Fini e Fabrizio Clerici
In anni recentissimi le figure dei surrealisti italiani e dei neoromantici, troppo a lungo messe da parte, stanno vivendo una felice riscoperta. In particolare la presenza dell’artista Leonor Fini all’ultima Biennale di Venezia ha acceso i riflettori su una delle protagoniste più originali del secondo Novecento, a cui in passato furono dedicate due rilevanti monografiche (1983 Palazzo Diamanti a Ferrara, 2009 Museo Revoltella Trieste).
Nata a Buenos Aires nel 1907, morta a Parigi nel 1996, cresciuta a Trieste, vissuta tra Milano, Roma, Parigi, Leonor Fini ha consacrato la propria vita all’arte ed è stata essa stessa opera d’arte. Ripercorrendone la biografia emerge come numerose relazioni siano inscindibili dalla sua storia e abbiano influenzato e definito la sua opera. Una di queste è certamente l’amicizia con l’artista Fabrizio Clerici, conosciuto negli anni Trenta a Parigi. Nato a Milano nel 1913 e morto a Roma nel 1993, architetto di formazione, si dedica alle arti visive e al teatro, sperimentando e innovando diversi linguaggi culturali.
Al lungo e profondo sodalizio tra Leonor Fini e Fabrizio Clerici è dedicata l’immensa mostra del Mart di Rovereto, curata da Denis Isaia e Giulia Tulino, in collaborazione con l’Archivio Fabrizio Clerici.... leggi il resto dell'articolo»
Pittori, illustratori, scenografi, costumisti, Fini e Clerici furono accomunati dagli stessi riferimenti estetici e culturali e insieme frequentarono gli ambienti intellettuali europei e statunitensi. Nelle loro opere vive l’immaginario surreale, introspettivo e metafisico dell’arte fantastica italiana.
Al Mart la mostra si snoda attraverso più di 400 opere tra dipinti, disegni, fotografie, video, documenti, bozzetti teatrali, costumi e oggetti. In un allestimento cronologico e filologico, intervallato da numerosi affondi tematici dedicati alle passioni condivise dai due artisti, il lavoro di Fini e Clerici si confronta con le opere dei loro maestri, come Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Arturo Nathan, Bruno Croatto, ma anche dei loro compagni di viaggio, come Stanislao Lepri, Eugène Berman, Pavel Tchelitchew e dei loro eredi, come Enrico d’Assia ed Eros Renzetti.
Pur frequentando i circoli culturali e le personalità più note del tempo, Fini e Clerici non appartengono a correnti, gruppi, movimenti: l’arte è un fatto privato, sublimazione e voce del sé.
Coltissimi mescolano riferimenti letterari, mitologie classiche, scienze naturali, spunti religiosi e spirituali. Scevri da limiti e preconcetti guardano alle nuove scienze della mente, come la psicanalisi, giocano con l’alchimia e le simbologie dell’occulto. Un po’ surrealisti, un po’ metafisici, sicuramente fantastici, sfuggono a ogni definizione.
La mostra dà conto dell’intera carriera di entrambi, a partire dagli anni Venti, anni di formazione, prove e scoperte, fino alla maturità artistica; passando per opere, documenti, materiali d’archivio, costumi, oggetti di scena, libri illustrati, manufatti collezionati dai due artisti, video e fotografie per lo più inedite che li ritraggono insieme.
In un percorso vertiginoso costellato di ricche quadrerie, sale tematiche, accostamenti originali, ciò che i curatori desiderano ricostruire è la storia un’amicizia rara, libera, esuberante, precorritrice dei tempi se non addirittura fuori da qualsiasi tempo.
Leonor Fini raccoglie attorno a sé famiglie ideali, affinità elettive, legami indissolubili, ben descritte nel catalogo che accompagna la mostra da Alyce Mahon, Eros Renzetti e Giulia Tulino. Quest’ultima spiega: “tra Clerici e Fini c’è spazio per ogni sorta di stravaganza ed eccentricità, sempre sorrette da cultura ed erudizione, c’è anche un grande amore che non può essere ancorato alle categorie classiche di un rigido schema eterossessuale”.
Nell’arte come nella vita − che rappresenta un tutt’uno indissolubile – Fini e Clerici esprimono un modo alternativo di vedere la realtà, che supera le categorizzazioni proprie del modello sociale patriarcale e che ancora oggi ispira le comunità queer. Praticando la libertà e l’emancipazione Fini e Clerici concretizzano una costante messa in discussione dei sistemi normativi della conoscenza. Con questo spirito vanno osservate le opere che inneggiano alla metamorfosi, le creature fantastiche, le bellezze ibride. Il cambiamento, il travestitismo, la performance come moltiplicatori delle possibilità.
La mostra è accompagnata da un catalogo con saggi e testi di Denis Isaia, Alyce Mahon, Alessandro Nigro, Annalisa Proietti Cignitti, Eros Renzetti, Ilaria Schiaffini, Vittorio Sgarbi, Giulia Tulino, Patrizia Zambelli. Editore: L’ERMA di Bretschneider.
Il percorso della mostra | Testi di sala
Per il Mart e i curatori della mostra è un privilegio presentare un percorso espositivo che, con ogni probabilità, sarebbe salutato dai due protagonisti come un evento unico e atteso. Due personalità straordinarie, quelle di Leonor Fini (Buenos Aires, 1907-Parigi, 1996) e Fabrizio Clerici (Milano, 1913-Roma, 1993), amici e complici per oltre cinquant’anni nel sostegno dell’eccentricità dell’arte e della vita.
La mostra racconta la loro storia e quella di artisti che, con loro, hanno dato vita all’arte fantastica e neo-romantica, una tendenza rimasta a lungo nell’ombra. Il percorso contestualizza l’opera di Fini e Clerici mostrandone cronologicamente gli sviluppi, e, allo stesso tempo, offre al visitatore una serie di approfondimenti, capaci di mettere in luce le attività parallele dei due artisti (il teatro, l’illustrazione, la vita mondana) e di raccontare le loro esistenze, originali e sopra le righe. Con oltre quattrocento opere, che comprendono dipinti, disegni, fotografie, video, documenti, bozzetti teatrali, costumi e oggetti, si è inteso “mettere in scena” il mondo di Leonor Fini e Fabrizio Clerici: un mondo costruito attraverso una ampia curiosità culturale e un immaginario colto che trova pochi corrispettivi tra i loro contemporanei.
Anatomie e metamorfosi
Alle origini dell’immaginario fantastico di Leonor Fini e Fabrizio Clerici troviamo alcune tematiche che risiedono nella loro formazione giovanile. Entrambi sono attratti dall’anatomia e dalle possibili metamorfosi dei corpi, come dimostrano alcune tavole anatomiche di inizio Ottocento, collezionate e scambiate tra i due.
In Fini il gusto gotico e l’esplorazione dell’identità e della sessualità femminile si fondono con le immagini mitologiche. Clerici invece è mosso dalla scoperta di oggetti curiosi, rappresentati con il fine segno di un calligrafo che, con la punta d’argento, mette nero su bianco racconti di corpi in mutazione (da umano ad animale, ma anche da umano a oggetto). Forte è per Fini l'influenza del Manierismo italiano, del Romanticismo tedesco e dell’arte preraffaellita che trova nelle opere di Burne-Jones e Von Stuck i primi modelli a cui ispirarsi. Clerici, sin da bambino, è affascinato dal Tableau Pittoresque des Merveilles de la Nature di Aristide Michel Perrot, in cui, tra le rappresentazioni descritte in legenda troviamo creature estinte e altre curiosità naturali. Nella sala anche due rare ceroplastiche di Gaetano Zumbo, precoce passione di Clerici, e un manichino, prestato dall’architetto Tomaso Buzzi a Leonor Fini, la quale decise di privarlo degli attributi sessuali e di truccarne il volto.
Le premesse e gli esordi
Il percorso si apre con gli artisti che hanno segnato il cammino di Fini e Clerici nell’area di Trieste, Milano e Roma: non una scuola o una tendenza ma piuttosto esempi isolati di Realismo magico, Metafisica e surrealtà. Tra loro: Alberto Martini, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Edmondo Passauro, Bruno Croatto, Arturo Nathan, Carlo Sbisà. A questi artisti la mostra riconosce l’avvio, nel XX secolo, di una scuola italiana del fantastico, di cui Fabrizio Clerici e Leonor Fini saranno protagonisti indiscussi. Il loro esordio avviene negli anni Venti, quando Clerici, disegnatore per passione e architetto di professione non ha ancora intrapreso la strada della pittura, mentre Leonor Fini attraversa estetiche diverse prima di trovare la sua dimensione. Di Clerici sono esposti i progetti di architettura e alcuni disegni, rarissimi, del 1928-1929 a cui vengono affiancati i primi lavori di Fini, legati a quel ritorno all’ordine a metà strada tra Realismo magico e Metafisica.
Roma, Parigi, New York. Surrealisti e Neo-romantici
Nel 1945 presso la libreria-galleria La Margherita di Roma – gestita dai coniugi Del Corso-Brin, poi proprietari della celebre galleria L’Obelisco – è presentata la prima mostra dei surrealisti italiani con opere, tra gli altri, di Leonor Fini, Fabrizio Clerici, Alberto Savinio e Stanislao Lepri. A questi pittori, impegnati nella ricerca di nuovi linguaggi immaginari, fantastici e visionari, caratterizzati da un gusto antiquario aristocratico e colto, vengono affiancati presto gli artisti Neo-romantici: Eugène Berman, Christian Bérard e Pavel Tchelitchew, un gruppo di creativi russi, esuli prima a Parigi e poi negli Stati Uniti che, negli anni Cinquanta, affascinati dalla storia, dal paesaggio e dall’arte italiana, decidono di trasferirsi nel nostro paese. Figura di riferimento in questo contesto è il compagno di Pavel Tchelitchew, Charles Henri Ford, poeta americano e co-direttore di “View”, rivista di impostazione surrealista, che introduce negli Stati Uniti l’arte d’avanguardia europea. Nel febbraio 1946, Ford dedica un intero numero di “View” ai surrealisti italiani: la rivista si apre con un articolo su Leonor Fini: pittrice gotica firmato da Mario Praz, a cui segue un testo sullo scultore e ceroplasta siciliano Gaetano Zumbo firmato da Fabrizio Clerici e, in conclusione, un cadavre exquis (disegni a più mani e più passaggi) di Clerici, Fini e Lepri.
Le estati eccentriche di Tor San Lorenzo e Nonza
Tor San Lorenzo e Nonza sono due luoghi di elezione nel rapporto artistico che lega Leonor Fini, Fabrizio Clerici e gli amici, artisti e intellettuali, che condividono con loro il periodo estivo perché attirati dalla stravaganza di quei siti e dall’accoglienza eccentrica.
Nel 1952, per il tramite della nobile Virginia Sforza Cesarini, Clerici ha a disposizione una torre, chiamata Tor San Lorenzo, affacciata sul mare. Lì, con Leonor Fini, il pittore Stanislao Lepri, e altri amici, organizzano eventi e performance teatrali con costumi realizzati da loro, in un clima magico e alchemico, a cui assistono di volta in volta personaggi come il principe Dado Ruspoli, Jean Genet, Manolo Borromeo ed Elsa Morante.
A partire dal 1957, e fino al 1980, le estati vengono trascorse a Nonza, in Corsica, dove Leonor Fini affitta un ex-convento francescano. Qui, in una cornice da “elogio del rudere” vanno in scena memorabili feste che, ogni 30 agosto, giorno del compleanno di Leonor Fini, hanno il loro exploit. Per riunirsi in questo posto isolato gli artisti si organizzano mesi prima: Clerici porta da Roma metraggi di stoffe lamé, Fini arriva da Parigi con valige piene di guarnizioni, lustrini, strass e piume. Con loro anche il costumista e amico, Héctor Pascual, capace di assemblare bizzarri abiti, di cui abbiamo testimonianza grazie alle foto conservate all’Archivio Fabrizio Clerici di Roma.
Un caso esemplare: l’arte del ritratto
Leonor Fini e Fabrizio Clerici sono accomunati dalla frequentazione, sin dall’infanzia, dell’aristocrazia e dell’alta borghesia italiana e internazionale che, nella maturità artistica diverrà fonte di committenza. Se Clerici, soprattutto agli esordi, si dedica all’architettura, Fini trova nel ritratto un genere affine alla sua indole, nonché una preziosa fonte di reddito. Il significativo numero di ritratti eseguiti rappresenta un caso originale e affascinante perché l’artista si ispira al Cinquecento ferrarese e all’arte fiamminga, distanziandosi dal genere di ritrattistica in voga tra gli Venti e Quaranta del Novecento, che guardava al primo Rinascimento italiano, in particolare Piero della Francesca. Fini ritrae fin da giovane amici e mentori come, Carlo Sbisà e Achille Funi, raffigurati nei disegni esposti all’inizio del percorso. In questa sala l’attenzione ricade invece sulla ritrattistica della maturità, quando Fini è impegnata nelle commissioni affidatele da Dado Ruspoli, il principe Aziz, Felicita Frai, Léon Delafosse, il Principe Alfonso Pio, Elsa Morante, Valentina Cortese. In mostra anche il magnifico ritratto di Fabrizio Clerici, rappresentato in uno stile che richiama i volti ieratici dei ritratti funebri egizi di età romana del Fayyum. Per Clerici il genere del ritratto è legato prevalentemente a una sfera meno ufficiale e privata, come nel caso del ritratto di Alberto Savinio che, a sua volta, eseguì un bel ritratto del giovane Clerici.
Sfingi
La figura mitologica della Sfinge, metà donna e metà leone, è uno dei più solenni archetipi dell’opera di Leonor Fini. Per tutta la vita Fini dipinge questi esseri mitologici quasi a comporre un proprio bestiario sacro, in cui specchiarsi e riconoscersi. Forte è la passione di Fini verso i felini, l’appartamento parigino che condivideva con Stanislao Lepri e Konstanty Jeleński era popolato da gatti e una gatta entrerà di diritto nel suo asse patrimoniale al momento della scomparsa. Al di là delle note di costume, la Sfinge rappresenta la donna forte e maestosa che Fini era e interpretava, come una eletta attorniata da simboli misterici e adepti.
Il Ballo del secolo
Tra gli eventi mondani che Fabrizio Clerici e Leonor Fini condividono spiccano i balli. Il Ballo Cuevas, i balli parigini del barone Alexis de Redé e il più memorabile, detto il Ballo del secolo o Ballo Beistegui, dal nome del miliardario Carlos de Beistegui che, nel 1951, inaugura con una festa in maschera la sua dimora veneziana, Palazzo Labia. Clerici e Fini, noti anche per il lavoro in teatro, partecipano presentandosi con vestititi progettati da loro stessi e scegliendo la maschera del Re Luna lui e di un Angelo nero lei. Per l’occasione Clerici realizza anche i costumi per la contessa Anna Maria Cicogna e sua figlia Marina, al suo debutto in società. Con loro altri artisti sono parte attiva nell’evento: Dalí prepara l’invito e, insieme a Christian Dior, organizza una parata di giganti che entrano al ballo su alti trampoli. Partecipano inoltre alcuni amici di Fini e Clerici, come la stilista Elsa Schiaparelli – per la quale Fini aveva progettato, nel 1937, la famosa bottiglia che ricalcava il corpo di Mae West per il celebre profumo Shocking – Cristóbal Balenciaga e Orson Welles, che così descrive l’esordio di quella memorabile notte: “Il motoscafo di casa Volpi mi sorpassò. Le signore bianche come la luna, e della luna avevano i bianchi corni in testa, e gli uomini ammantati di nero come la notte ma i visi illuminati dalle lucide maschere coi raggi del sole, il più fantastico era Fabrizio Clerici”.
Scene e costumi
Fabrizio Clerici e Leonor Fini pur trovando nella pittura il proprio ideale artistico si sono prestati a differenti discipline come l’architettura, il design d’interni, l’illustrazione e il teatro. Tra tutti il teatro rappresenta il punto di confluenza: la scatola magica in cui le visioni si compiono e vengono animate. Ciò spiega anche il grande successo che i due ebbero e le molte storie che raccontano di proibitivi cachet e calorose acclamazioni. In mostra sono raccolti alcuni tra i più importanti bozzetti per scene e figurini. Spiccano l’Orpheus di Stravinskij, con scene e costumi di Fabrizio Clerici; l’Armida, in cui la sovrabbondanza visiva di chiara impronta barocca è accompagnata da accenti gotici e colte citazioni antiche o, ancora, i figurini di Leonor Fini per Les demoiselles de la nuit dedicati a donne snelle e ferine, mascherate, come d’uso per la pittrice, da gatte.
La pittura di Fini e Clerici
Le sale che seguono sono dedicate alle esperienze più squisitamente pittoriche di Fabrizio Clerici e Leonor Fini. Esse raccolgono alcuni tra i quadri più noti della maturità di entrambi, misurandone le differenze stilistiche e le vicinanze contenutistiche individuabili in una visionarietà caratterizzata da citazioni colte e ambientazioni neo-romantiche. Un “realismo irreale” come ha scritto il poeta Jean Cocteau, che caratterizza l’opera di entrambi: nei dipinti di Fabrizio Clerici le reminiscenze di un’archeologia ideale fatta di labirinti, cripte e ruderi, deserti e silenziosi o abitati da personaggi di fantasia, si articolano sulla tela attraverso il disegno architettonico e una pittura liscia e dettagliata. In Fini invece la mitologia entra in contatto con elementi minerali che caratterizzano i luoghi in cui strane figure, a volte umane a volte mostruose, sembrano vivere una dimensione onirica e fiabesca.
Sulla scia del meraviglioso
In questa stanza, a fianco delle opere di Leonor Fini e Fabrizio Clerici, sono presentate quelle di alcuni artisti della generazione successiva che hanno visto in loro dei maestri e dei mentori. Pur caratterizzati ognuno da uno stile ben definito e da specifici interessi tematici, essi mantengono con Fini e Clerici evidenti rapporti formali. In Enrico Colombotto Rosso è predominante la visionarietà e la rappresentazione di figure non dissimili da alcune prove di Lenor Fini, di cui era ottimo amico, seppur più macabre e volutamente grottesche. Enrico d’Assia e Domenico Gnoli, entrambi frequentatori dello studio di Clerici, fanno dell’illustrazione meticolosa del dettaglio la propria cifra stilistica.
Stanislao Lepri
Nel contesto dei rapporti tra Fabrizio Clerici e Leonor Fini, Stanislao Lepri occupa un posto speciale. Di nobile famiglia, diplomatico di professione e colto e fantasioso pittore, Lepri è spesso ricordato per il ménage à trois con Fini e con l’intellettuale di origine polacca Konstanty Jeleński. I due uomini, entrambi omosessuali, decidono di legarsi alla magnetica Leonor Fini, e comporre con lei una “famiglia ideale”, libera da stereotipi e sostenuta da un amore amicale. Un rapporto tanto profondo e difficilmente interpretabile secondo i canoni sociali del tempo che vede i tre condividere la vita, l’abitazione parigina nonché, per loro esplicito volere, la sepoltura. Clerici è molto vicino al gruppo e si percepisce, soprattutto dalla corrispondenza intercorsa, che a lui, i tre amici, hanno sempre riservato un posto privilegiato. Le opere di Stanislao Lepri si nutrono delle stesse misteriose visioni di Clerici e Fini, eppure paiono come traslazioni di appunti liberi e personali condotti da visioni decadenti e catastrofiche, popolate da personaggi grotteschi preda di irragionevoli impulsi.
Oggetti e visioni
Come dichiarato in avvio del percorso espositivo, gli oggetti contribuiscono ad alimentare il mondo visionario e colto di Fabrizio Clerici e Leonor Fini. Clerici si è accompagnato tutta la vita con oggetti bizzarri, alcuni dei quali sono esposti qui. A queste si aggiungono le sue creazioni, come le mani-lampade, realizzate da Andra Spadini su suo disegno, già parte di Casa Cicogna, la nobile abitazione veneziana che Clerici progetta per Anna Maria Cicogna occupandosi di ogni dettaglio. Di questo progetto fanno parte anche i pannelli decorativi per l’ascensore dell’edificio realizzati dal pittore tedesco Fabius von Gugel su disegno di Clerici. Nella sala spicca anche la carta da parati disegnata da Clerci e Fornasetti e un paravento decorato da Leonor Fini, oggi di proprietà di un’importante firma della moda.
L’eredità di Leonor Fini e Fabrizio Clerici
Leonor Fini e Fabrizio Clerici sono entrati nell’immaginario surrealista. Il regista Mark Romanek chiamato da Madonna a dirigere il video del singolo Bedtime Story (1994) cita esplicitamente quadri di Leonor Fini e Fabrizio Clerici.
In mostra Madonna condivide lo spazio con gli artisti Michel Henricot e Eros Renzetti, il primo allievo e assistente di Leonor Fini, il secondo allievo di Fabrizio Clerici e Leonor Fini, a lungo assistente di Clerici e oggi titolare dell’omonimo Archivio. Anche se di generazioni diverse, entrambi reiterano il piacere per il disegno e per una pittura fatta di successive velature, caratterizzata da una tavolozza ricercata e da un gusto volutamente vistoso. L’opera di Renzetti è particolarmente vicina all’esperienza mondana di Fini e Clerici, come nel caso del gioiello esposto, possibile protagonista di un quadro così come di una serata eccentrica.
Mostra: Leonor Fini e Fabrizio Clerici. Insomnia
Rovereto (TN)
Apertura: 16/07/2023
Conclusione: 05/11/2023
Organizzazione: MART
Curatore: Denis Isaia e Giulia Tulino
Indirizzo: Corso Bettini, 43 - 433806 Rovereto (TN)
Contatti:
T. 800 397760
T.+39 0464 438887
info@mart.trento.it
Orari
mart-dom 10.00-18.00
ven 10.00-21.00
lunedì chiuso
Tariffe
Intero 15 Euro
Ridotto 10 Euro
Gratuito fino ai 14 anni e persone con disabilità
Il Mart ringrazia
Provincia autonoma di Trento
Comune di Trento
Comune di Rovereto
Il Mart è sostenuto da
Altemasi di Cavit, Partner istituzionale del Museo
Casse Rurali Trentine
In collaborazione con
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Sito web per approfondire: https://www.mart.tn.it/
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