ArchitetturaEventi e spettacoli a Milano

Patrizia Mussa. Teatralità. Architetture per la meraviglia

  • Quando:   05/12/2023 - 04/02/2024
  • evento concluso
Patrizia Mussa. Teatralità. Architetture per la meraviglia

Dal 6 dicembre a Palazzo Reale a Milano, in concomitanza dell'apertura della stagione scaligera, la mostra di Patrizia Mussa Teatralità - Architetture per la meraviglia, a cura di Antonio Calbi, promossa da Comune di Milano-Cultura, prodotta da Palazzo Reale e Studio Livio, con il sostegno di Gemmo SpA. L'esposizione è inserita nel programma della "Prima diffusa" promossa dal Comune di Milano insieme a Edison, in collaborazione con il Teatro alla Scala.

Fino al 4 febbraio 2024, nelle dieci sale dell'Appartamento dei Principi, l'artista ci mostra 60 immagini di grande formato con interventi di coloritura a mano, che restituiscono un percorso di analisi della teatralità in architettura: dai primi teatri di Vicenza, Sabbioneta e Parma - che segnano il passaggio dai teatri di corte agli edifici veri e propri - al Teatro alla Scala di Milano, dal Teatro San Carlo di Napoli al Teatro La Fenice di Venezia, dal Teatro Regio di Torino al Teatro Argentina di Roma, dal Teatro della Pergola di Firenze al Teatro Massimo di Palermo, unitamente ad alcune architetture che testimoniano la vocazione "teatrale" di certa architettura italiana, come la Reggia di Venaria, quella di Stupinigi, la Reggia di Caserta, Palazzo Grimani a Venezia.

Dopo Milano, la mostra Teatralità - Architetture per la meraviglia sarà a Matera, al Museo Nazionale, nel seicentesco Palazzo Lanfranchi; a Villa Zito, a Palermo, grazie alla Fondazione Sicilia; all'Accademia di San Luca a Roma, a Parigi, presso il settecentesco Hôtel de Galliffet, sede dell'Istituto Italiano di Cultura, per proseguire in altre città italiane.

Nelle sue fotografie, Patrizia Mussa usa un linguaggio che sembra, a prima vista, di natura oggettivante, per l'uso della luce naturale, la visione frontale, il fuoco totale, che si inseriscono in una calibrata "narrativa", razionale e cristallina. Ma la fotografia è, per l'artista, solo il punto di partenza. Dopo aver fissato la veduta e realizzato la stampa su carta cotone, Patrizia Mussa interviene infatti con i pastelli colorati a ripercorrere i dettagli e rendendola molto simile a un dipinto o a un arazzo, marcando così una distanza definitiva dal linguaggio meramente fotografico per approdare in un campo artistico ancora senza nome dove l'atto fotografico si unisce al gesto pittorico: «E la bella parola che definisce la scrittura con la luce, per il suo lavoro, non è sufficiente. Servirebbe un neologismo», scrive infatti la storica della fotografia Giovanna Calvenzi nel suo testo in catalogo.
«Ne risultano figurazioni inedite – aggiunge il curatore Antonio Calbiche appartengono alla concretezza dell'esistente e del suo dato storico e allo stesso tempo se ne emancipano, assumendo dimensioni altre, quasi metafisiche. [...] I teatri fotografati e rielaborati da Patrizia Mussa sono quintessenze formali, poesia visiva, esistenzialismo pittorico senza figure umane.»

L'intento di questa particolare ricerca dell'artista non è restituire una catalogazione dell'architettura dei teatri italiani, quanto rivivere e restituire un'esperienza personale attraverso il gesto artistico: «Un lavoro di rigore e ripensamentospiega la fotografa –, uno sguardo ad occhi socchiusi, l'innesco di un processo onirico, di smagliatura, di impoverimento, la ricerca di una radice, di un'anima, di un altro significato; una sorta di radiografia, di istantanea retinica o corticale, impressa su un velo sottile.»
Ciò che Patrizia Mussa offre al pubblico non sono quindi solo fotografie descrittive del sontuoso patrimonio architettonico teatrale italiano, ma l'idea stessa del teatro quale luogo per la comunità, in cui riunirsi, guardare ed essere guardati, sorta di tempio laico costruito «per l'immaginario – dichiara ancora Calbi –, luoghi dove può affiorare l'intangibile e dunque sono ambiti dell'anima, della visione e dell'ascolto, della realtà replicata in scena, affinché si possa meglio osservarla, e allo stesso tempo sono "spazi liminali" dove è possibile superare il dato reale per provare a sfiorare il mistero che si nasconde dietro le cose.»... leggi il resto dell'articolo»

La mostra è occasione per Palazzo Reale, di ricordare il Teatro di Corte che si trovava al suo interno. Fu proprio in seguito alla sua distruzione, causata da un incendio, che Maria Teresa d'Austria decise di non ricostruirlo all'interno della residenza reale ma di "donare" un nuovo teatro alla città. Fu così rasa al suolo la chiesa di Santa Maria della Scala e sull'area fu costruito, su progetto del Piermarini, il Teatro alla Scala, inaugurato nel 1778 e giunto nella sua bellezza fino a noi. In mostra, si ammirano quindi la maquette del Teatro di Corte di Palazzo Reale, una grande maquette dell'originario arco scenico del Teatro alla Scala e una maquette dell'intero complesso, grazie al prestito dal Museo del Teatro alla Scala, e rare incisioni d'epoca, in prestito dal Gabinetto delle Stampe del Castello Sforzesco.

Dichiara Irene Gemmo, presidente di Gemmo SpA: «Coniugare la nostra storia centenaria al dialogo continuo con la bellezza, in tutte le sue forme ed espressioni, è un vero privilegio, oggi esaltato dalla collaborazione con Patrizia Mussa e con il Comune di Milano per la realizzazione di questa mostra. Sono decine e decine i beni artistici e culturali che oggi vivono grazie alla tecnologia impiantistica, ai servizi di efficientamento energetico e di facility management di Gemmo, in un perfetto equilibrio tra arte, storia e tecnologia.» Gemmo è da oltre cento anni azienda leader in Italia nella realizzazione e gestione di impianti tecnologici complessi per infrastrutture strategiche come porti, aeroporti, ospedali, stazioni ferroviarie, tunnel, da sempre attenta al sostegno di iniziative culturali, artistiche e sociali.
La mostra è accompagnata da un volume edito da Silvana Editoriale & Studio Livio, con testi di Antonio Calbi, Gabriel Bauret, Giovanna Calvenzi, Nicola Fano, Simone Percacciolo.

Note biografiche
Patrizia Mussa vive e lavora tra Torino e Parigi. Si laurea in Filosofia e si specializza in Antropologia Culturale alla Sorbonne. Inizia a lavorare come fotografa per reportage sportivi e geografici. A Milano, negli anni Settanta, lavora in ambito pubblicitario come producer, direttore della fotografia e regista di documentari. Dal 1985 si stabilisce a Torino, lavora come picture editor per Studio Livio e per la Pacific Press Service di Tokyo; realizza servizi fotografici per importanti riviste di architettura e interior design e gruppi editoriali come Condè Nast e Taschen.
La fotografia di architettura, di interni e il paesaggio sono i campi fondamentali della sua attività professionale e della sua ricerca. Sono numerosi i progetti a cui ha lavorato, tra i più recenti: Teatri Photopastel, in mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino nel 2019, a Parigi nel 2020 alla Galerie XII, a Pietrasanta con Paola Sosio Contemporary Art e Claudio Composti e a Milano nel 2022 alla Other Size Gallery, a cura di Claudio Composti; WarlessTheatres - dedicato ai paesaggi dell'Afghanistan Yemen ed Ethiopia, con immagini realizzate quando ancora erano luoghi accessibili, riserve di culture e risorse, oggi riletti con nuove sequenze e cromie inedite realizzate a mano. Progetto selezionato ed esposto per la Biennale du Monde Arabe Contemporaine, Paris 2019 Institut du Monde Arabe / La Maison Européenne de la Photographie, Paris; Le Temple du Soleil - uno sguardo particolare sull'architettura dell'utopia dell'architetto filosofo Jean Balladur, esposto a Palazzo Morando a Milano, a Montpellier-PierresVives, progetto di Zaha Hadid, a Villa Savoye-Le Corbusier a Poissy Parigi, e alla Wilmotte Gallery nei Lichfield Studios di Londra.
La Buona Ventura Etranges Etrangers - Ritratti di italiani a Parigi, su incarico di JeanLuc Monterosso, esposti alla Maison Européenne de la Photographie de Paris, con una personale durante "Un été Italien" dedicata alla fotografia italiana.
Le fotografie di Mussa sono state esposte e fanno parte di importanti collezioni museali quali la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, il Museum of Photography di Mosca, la Maison Européenne de la Photographie di Parigi, il Palais des Beaux Arts di Lille, oltre ad essere presenti in prestigiose collezioni pubbliche e private in Europa, negli Stati Uniti e in Estremo Oriente.

Antonio Calbi ha diretto il Teatro di Roma (Teatro Argentina e Teatro India), il Teatro Eliseo, sempre a Roma; il settore spettacolo, moda e design del Comune di Milano con i sindaci Moratti e Pisapia; è stato sovrintendente dell'INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) di Siracusa. Si è diplomato in organizzazione teatrale presso l'Accademia di Teatro del Piccolo Teatro di Milano e si è laureato in semiologia dello spettacolo all'università di Bologna. Come operatore indipendente ha ideato e diretto progetti, festival, rassegne, eventi; ha collaborato alla cerimonia di apertura e chiusura delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006; ha curato volumi e cataloghi, ha insegnato presso accademie e università, è giornalista professionista ed è stato critico teatrale di "Repubblica".
Attualmente è direttore di chiara fama dell'Istituto Italiano di Cultura di Parigi.

Servirebbe un neologismo (Testo di Giovanna Calvenzi)

A teatro vado spesso.
Per anni ho avuto l'abbonamento al Teatro alla Scala, a Milano.
Quando Claudio Abbado dirigeva ho cercato di seguirlo in molti teatri europei.
Poi ho visto le opere di Patrizia Mussa.
Sono foto fatte in tanti teatri italiani, dice lei.
Foto? dico io.
Perché alle foto sono avvezza. Conosco l'emozione che suscitano i ritratti in bianco e nero di August Sander, l'eleganza della moda di George Hoyningen-Huene, la Londra di Bill Brandt, le disperazioni belliche di Don McCullin, il disincanto di Robert Frank, le narrazioni del quotidiano di Luigi Ghirri, l'estro mimetico di Moira Ricci. E poi Patrizia Mussa.
Guardo le sue "teatralità" e l'emozione è identica ma diversa. E la bella parola che definisce la scrittura con la luce per il suo lavoro non è sufficiente. Servirebbe un neologismo.
Perché alla fotografia Patrizia Mussa aggiunge cromie e tattilità inusuali, che trasformano e modificano di conseguenza la nostra relazione con le immagini.
Vedo teatri che conosco e che non riconosco.
Vedo teatri che non conosco e che mi auguro siano come lei li ha visti.
La fotografia per Patrizia Mussa è solo un punto di partenza. La sua rilettura di partenza è classica, geometrica, consolidata. Rispetta lo spazio, i volumi, la storia. Trascrive con rispetto documentario.
Poi interviene e il mondo cambia. E qui, confesso, le parole diventano insufficienti.
Patrizia Mussa propone un viaggio che ci fa entrare in un mondo privato, inaspettato, capace tuttavia di diventare anche nostro.
Scopriamo grazie al misterioso trattamento al quale Patrizia sottopone le sue stampe – pastelli? acquarelli? – cupole perfette, sculture che la quotidianità cela, geometrie prevedibili e decori imprevisti.
Sappiamo come sono fatti i teatri della storia, conosciamo i velluti, gli ori, gli stucchi, le colonne, gli affreschi, le esagerazioni ridondanti ritenute un tempo necessarie alla messa in scena delle emozioni teatrali. Ma anche le ridondanze nella magistrale rilettura di Patrizia Mussa si trasformano in un disegno leggero, pieno di luce, dove barocco e rococò perdono la loro belligeranza per diventare poesia.
I luoghi che Patrizia Mussa definisce "teatrali" nella vita di tutti i giorni non esistono. Possiamo leggere con interesse le didascalie che li collocano a Segesta o a Roma o a Torino ma nel nostro profondo sappiamo che non è vero. Le teatralità di Patrizia Mussa le ha inventate lei e ce le ha regalate.
Fotografie? Non proprio. Servirebbe un neologismo.

L'occhio errante (Testo di Gabriel Bauret)

Nelle conversazioni di una volta, all'interno di ambienti agiati, si scambiavano domande di questo tipo: andate all'opera o più volentieri a teatro? Senza neppure menzionare le opere o gli autori. A Parigi, l'Opera più prestigiosa della capitale è strettamente associata al nome dell'architetto che l'ha disegnata: Charles Garnier. Per quel che riguarda il teatro oggi si parla sempre del "Français" per indicare la leggendaria sala della Comédie Française. E dunque l'Opera e il teatro erano storicamente, e lo sono probabilmente ancora per alcune persone, luoghi di condivisione sociale, luoghi dov'era opportuno farsi vedere, diversamente dalle sale di cinema, dove si fruiscono i film in modo più intimo, tranne forse, oggi, il "Grand Rex", raro vestigio parigino dei sontuosi edifici che all'inizio del secolo scorso erano dedicati alla settima arte – fra i quali il gigantesco Gaumont Palace di Place Clichy. Ai nostri giorni le sale del cinema sono essenzialmente funzionali e poco spettacolari poiché destinate a rimanere "oscure".
Invece l'architettura, lo spazio, gli elementi decorativi delle sale dell'Opera e dei teatri sono stati concepiti per stupire il pubblico quando vi entra. Essi entusiasmano, provocano persino una certa frenesia unita all'aspettativa dello spettacolo in arrivo, prima che si alzi il sipario. Suscitano emozione, rappresentando uno spettacolo prima dello spettacolo. Talvolta sono anche spazi che inizialmente non erano stati pensati per accogliere opere teatrali, come la Cour d'honneur del Palazzo dei Papi ad Avignone che Jean Vilar scelse nel 1947 per la prima rappresentazione di un festival, che non smetterà mai di crescere. La sensazione che si prova entrando in una sala di teatro d'Opera è proprio quella che anima ormai da parecchi anni il lavoro di Patrizia Mussa sugli interni degli edifici italiani, da Torino a Venezia, e dal nord al sud fino a Napoli e Palermo. È forse anche una delle prime motivazioni della sua ricerca: rivivere e restituire una esperienza personale attraverso il gesto artistico. La sollecitazione visiva si trova nei molti dettagli che compongono le sale che ha scelto di fotografare. Entrare in ciascuna delle sue immagini, significa effettivamente scoprire la diversità delle forme del teatro detto "all'italiana": i dipinti che ornano i soffitti, le statue collocate sui lati del palcoscenico, i lampadari e le altre luci, i motivi e il colore dei sipari che riecheggiano quelli dei sedili degli spettatori, oltre alla varietà dei materiali compositivi delle costruzioni. Vari elementi decorativi richiamano o simbolizzano il teatro e l'Opera, la letteratura e i libretti, i loro racconti, i loro autori, le figure legate al patrimonio dell'antichità, la mitologia così spesso presente in filigrana nei monumenti italiani.
All'inizio del suo lavoro Patrizia Mussa sembra adottare in prevalenza un punto di vista frontale, piazzandosi dapprima di fronte alla scena che si presenta allo sguardo dello spettatore, poi lavora in controcampo. Parimenti l'obiettivo si gira verso il soffitto e il sipario a volte si alza su un quadro, quello di uno spettacolo che verrà rappresentato. A poco a poco la sua attenzione si volge altrove: esce dalla sala, esplora per così dire dietro le quinte, spinge il suo sguardo nella hall, nel foyer e nel retroscena. Fotografa i cantieri di restauro di alcuni edifici, si avventura persino all'esterno. Ma l'intento artistico, il trattamento che fa subire alle sue immagini non conduce necessariamente chi le guarda ad una restituzione documentaria che sarebbe invece caratteristica di uno spirito inventariale, procedura che fa propria, per esempio, Candida Höfer la cui formazione, al fianco di un Thomas Struth o di un Andreas Gursky, è strettamente legata agli insegnamenti della scuola di Düsseldorf. La fotografa tedesca ha infatti sviluppato un approccio dell'architettura d'interni di prestigiosi edifici culturali il cui principio si basa sulla restituzione oggettiva e dettagliata, staccata da qualsiasi influenza o schema narrativo.
Il percorso di Patrizia Mussa segue una linea sottile, ingannevole, fra la realtà e l'interpretazione dei luoghi, fra l'atto fotografico e il gesto pittorico; più esattamente il ricorso al pastello che conferisce all'immagine un'atmosfera e una tonalità molto particolari ma che concorre anche al desiderio di staccarsi sensibilmente dal mondo reale, a una forma di depersonalizzazione. La combinazione della tecnica fotografica e di un intervento manuale è una scrittura originale che consente all'artista di esprimere quello che forse non avrebbe potuto in un primo tempo essere colto dallo scatto. Siamo di fronte alla fusione di due operazioni che però bisogna distinguere dalla colorazione degli scatti in bianco e nero, procedimento che ha marcato fino ad oggi la storia della fotografia poiché non è tanto il colore che si sovrappone al bianco e nero per conferire un surplus di presenza o di realismo. Al contrario Patrizia Mussa si allontana sensibilmente dai luoghi e ci trasporta verso la sua propria percezione del mondo del teatro e dell'Opera. Si usa spesso a proposito dell'applicazione di colori su una immagine in bianco e nero il termine "emergere": si tratta infatti di staccarsi dalla superficie vera e propria della fotografia per inserire la scrittura a un diverso livello e allo stesso tempo far sì che ogni immagine così realizzata diventi unica. L'artista introduce ciò che una fotografia non mette necessariamente in valore: evidenzia certi dettagli, accentua certe prospettive, ridisegna delle curve, ma sempre in modo estremamente leggero e sfumato. Il pastello fa anche apparire una specie di velo fra la realtà dei luoghi e la forma di ricordi molto personali che Patrizia Mussa riesce a far rivivere. Qualcosa di misterioso s'introduce in questa visione del mondo dell'Opera e del teatro. Così il nostro occhio erra/fluttua nell'incertezza, al punto da esitare sulla reale esistenza di queste architetture come se fossero scaturite dall'immaginazione dell'artista.











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Mostra: Patrizia Mussa. Teatralità. Architetture per la meraviglia

Milano, Palazzo Reale

Apertura: 05/12/2023

Conclusione: 04/02/2024

Organizzazione: Palazzo Reale e Studio Livio

Curatore: Antonio Calbi

Indirizzo: Piazza Duomo, 12 - 20122 Milano

Orario: mar, mer, ven, sab e dom, ore 10 -19.30 | gio ore 10 – 22.30 | Lunedì chiuso | Ingresso fino a 30 minuti prima della chiusura | Festività giovedì 7 dicembre '23 (Sant'Ambrogio), ore 10 - 22.30 | venerdì 8 dicembre '23 (Immacolata), 10 - 19.30 | domenica 24 dicembre '23 (Vigilia di Natale), ore 10 - 14.30 | lunedì 25 dicembre '23 (Natale), ore 14.30 - 18.30 | martedì 26 dicembre '23 (Santo Stefano), 10 - 19.30 | domenica 31 dicembre '23 (ultimo giorno dell'anno), ore 10 - 14.30 | lunedì 1° gennaio '24 (primo giorno dell'anno), ore 14.30 - 19.30 | sabato 6 gennaio '24 (Epifania), ore 10 - 19.30

Catalogo: edito da Silvana Editoriale & Studio Livio con testi di Antonio Calbi, Gabriel Bauret, Giovanna Calvenzi, Nicola Fano, Simone Percacciolo

Per info: +39 02 884 45 181 | c.mostre@comune.milano.it

Sito web per approfondire: https://www.palazzorealemilano.it/



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